
Questa inchiesta sull'urbanistica che spazza Milano come una tempesta e il calendario della giustizia non si fermeranno in questa settimana di Ferragosto. Ed è bene così, visto che in agenda ci sono udienze del Tribunale del riesame che dovranno decidere sulla sorte di chi oggi è agli arresti da imputato e non ancora da condannato. Alcuni ai domiciliari, ma in un caso in carcere e allora viene da chiedersi se, visto che in questione c'è il bene supremo della libertà, le decisioni non procedano un po' troppo a rilento. Detto questo, viene da chiedersi che cosa effettivamente sia questo processo al "Modello Milano", ormai diventato uno scontato titolo di giornale, ma anche l'avvio di tante discussioni da ristorante con grave danno d'immagine per una città che finalmente stava decollando verso orizzonti un po' più ampi di quelli brianzoli dove era relegata fino a pochi anni fa. Di certo toccherà ai giudici individuare e punire eventuali, specifici (ed effettivi) reati, ma non c'è dubbio che sul banco degli imputati ci sia il rapporto, l'alleanza o la dialettica, ognuno la dica come crede, tra pubblico e privato. Il che significa tra politica e impresa, proprio quello che fino a oggi si è lodato come il principale motore dello sviluppo di Milano, diventata con il suo rito ambrosiano modello spesso irraggiungibile per il resto del Paese. Ed è qui che sta il fulcro, perché gli imprenditori hanno dna e cromosomi che impongono loro di realizzare opere e incassare guadagni.
Ed è alla politica che spetta il controllo: troppo comodo mettere oggi gli imprenditori sul banco degli imputati e non accusare gli amministratori di essere stati troppo deboli. Un reato che forse non sarà penale, ma politico di sicuro.