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I delfini ci svelano il segreto per sconfiggere il diabete

Adesso abbiamo un motivo in più per difendere ostinatamente quegli straordinari mammiferi acquatici che sono i delfini. Senza andare a scomodare aneddoti di terre lontane o lontani nel tempo, che pure si trovano documentati in quantità, sarà sufficiente ricordare la triste storia di Filippo, il delfino del Golfo di Manfredonia di cui mi occupai a lungo qualche anno fa. Si trattava di un tursiope maschio che nel 1998 si era staccato dal branco per vivere in mezzo agli uomini. La sua leggenda varcò i confini d’Italia quando un ragazzino di dieci anni, caduto dalla barca del papà, trovò il suo muso a sostenerlo e a farlo respirare fino a quando fu raccolto a bordo. Alla fine prevalse la solita stupidità umana. Non lo lasciavano più stare: turisti ignoranti e imbecilli cercavano, in ogni modo, di avvicinarlo e di farlo giocare con oggetti impropri. Dopo poco tempo Filippo aveva i denti martoriati perché la gente continuava a fargli mordere i parabordi e altro materiale di plastica dura, nonostante le avvertenze della Capitaneria di porto che cercava di difenderlo in ogni modo. Filippo ha finito la sua vita su uno scoglio, con il petto squarciato da un’elica.
Il motivo per cui abbiamo l’obbligo morale di difendere i delfini dai mille insulti che subiscono è uscito da un recentissimo studio di ricercatori veterinari che hanno fatto un’importante scoperta. I delfini, a parte l’uomo, sono gli unici mammiferi a sviluppare una forma naturale di diabete di tipo 2, pressoché uguale a quella umana. Proprio i tursiopi, denominati delfini a naso di bottiglia, mostrano una forma di resistenza all’insulina molto simile a quella che si vede in campo umano. Quello che però è impossibile per l’uomo diventa possibile per il delfino, ovvero regolare, con una sorta di interruttore, questa resistenza all’insulina, rendendola praticamente inoffensiva. Sarebbe sufficiente scoprire il funzionamento di quell’«interruttore» che permette al delfino di rendere innocua la resistenza all’insulina e potremmo avere in mano la chiave di volta per sconfiggere questa malattia cronica così frequente e pericolosa, soprattutto nelle civiltà più avanzate. Stephanie Venn-Watson, veterinaria epidemiologa della Us National Marine Mammal Foundation, che è a capo della ricerca, è certa che questa scoperta avrà profonde implicazioni nella cura di una malattia che colpisce 2,75 milioni di adulti solo in Gran Bretagna (285 milioni nel mondo).
A chi le chiede se anche i delfini diventeranno ennesime cavie da laboratorio, la ricercatrice risponde che, a parte le considerazioni etiche per una specie di così rilevante intelligenza, non è necessaria alcuna sperimentazione cruenta, ma saranno sufficienti campioni di sangue e di urine, nonché maggiori informazioni sulla fisiologia e la genetica della specie.
Scettico Mark Simmonds, vecchio studioso dei delfini. Contesta il fatto che essi siano troppo lontani parenti dell’uomo per trarre benefici su malattie solo apparentemente simili.


Quello su cui tutti sono d’accordo è comunque la tutela, senza se e senza ma, di un mammifero che ha pochi eguali, in natura, nel suo rapporto con gli uomini.

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