Quotidiano schierato, commentatore schieratissimo, non sarebbe notizia se qui si parlasse bene di Berlusconi. Ma voglio parlarne benissimo perché la notizia c'è. Il Berlusconi accusato dalle sinistre di fare solo marketing politico, per lo più clownesco, si sta rivelando, nelle sue apparizioni televisive dove tanto non si può fingere, uno statista serio e maturo. Diciamoci una volta tanto una cosa importante per noi, tra noi, popolo delle libertà: abbiamo ritrovato, nonostante i suoi quasi 70 anni, un campione fortissimo e credibile a cui affidare la rappresentanza dei nostri interessi e sentimenti.
In piena franchezza, scusandomi con l'interessato per l'assenza di emozioni amicali, a me la figura di Berlusconi interessa solo in relazione al progetto di modernizzare, anzi futurizzare, e liberalizzare l'Italia. Non solo per interesse nazionale, ma per un'idea di Italia connessa a quella della costruzione di un Occidente, ora frammentato, più forte. Un'Italia così modificata, infatti, potrebbe meglio contribuire alla costruzione di un'Europa più attiva, pressandola, e capace di unirsi all'America per formare congiuntamente un «nucleo occidentale» che governi il globo come vogliamo noi, con i nostri valori. Per riuscirci ci vuole, in Italia, un leader con tre caratteristiche: (a) liberale e occidentalista, cioè compatibile con lo scenario detto; (b) capacità carismatiche perché servono a sfondare un sistema istituzionale e politico non disegnato per modificarsi; (c) voglia di entrare nella storia, quindi con molta vanità, per sopportare la fatica e le difficoltà di una missione che va contro l'establishment politico ed economico formatosi in Italia dagli anni '60 e da allora in poi replicatosi uguale a se stesso come sistema di oligarchie rosse e bianche. I due ultimi tratti non sono riconosciuti come positivi dalle scuole politologiche anglofone con la priorità di rendere normale e non eroica una democrazia. E per questo, più che per il conflitto di interessi, parte degli osservatori politici di tale area si è chiesta se Berlusconi fosse «fit» (idoneo) a governare. Ma la nostra democrazia è bloccata e ha bisogno di eroi spavaldi per smuoverla. E di una dottrina analitico/valutativa adeguata al nostro contesto, nello specifico quella derivata dalla scuola del realismo politico di Machiavelli e specificata da Pareto, che così sintetizzo: la gente conta, ma le élite cambiano le cose, e quando bisogna combattere per farlo ci vuole un principe. In tal senso sono dal 1995 berlusconiano pur non avendo particolari relazioni o amicizia con questo campione. E da allora lo sostengo perché ha continuato a confermare di possedere i tre requisiti detti sopra, la vanità ed il personalismo non difetti, ma tratto necessario per il lavoro da fare. Adesso lo sostengo ancor di più perché ho notato che in dieci anni di avventura politica si è trasformato da politico di rottura in statista vero e proprio. Mi ha impressionato quando ha snocciolato in televisione le cose fatte dal governo sia per quantità sia per qualità, ma, soprattutto, per la competenza con cui le trattava. E questa lasciava trasparire la voglia di continuare a farle, con il seguente messaggio implicito: credetemi sulle cose fatte per credermi quando vi dirò che quelle incompiute nel primo mandato, oltre alle nuove imposte dalla storia più recente, le realizzerò nel secondo. E gli ho creduto. Ma con gli occhi del ricercatore abituato ad analizzare, e non dell'imbonito, che vedevano i singoli atti in una matrice armonica, la loro evoluzione e, soprattutto, la voglia di Berlusconi di fare sul serio come statista.
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