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I genitori di Chiara non credono più a Stasi: adesso vogliono controllare il suo computer

INDIZI Il ragazzo è l’unico indagato. A febbraio si deciderà se processarlo

Il dubbio. Fa un effetto strano il dubbio. Somiglia ad uno di quei brividi che ti arrivano all'improvviso. E ti raggelano il cuore. Che ti arrivano senza un perché. Magari proprio nel momento in cui ti sembrava di aver ricacciato indietro, finalmente, in un angolo remoto dell'animo, l'angoscia di una storia incredibile. Che una mattina d'agosto si è risucchiata in una bolla di sangue la vita di una figlia e ha fatto a brandelli l'esistenza della sua famiglia.
E alla fine, dopo 18 mesi di un agonia di sentimenti contrapposti, il dubbio, non ti fa credere più a niente e a nessuno. Non ci credono più i genitori di Chiara Poggi all'innocenza di Alberto Stasi. Il quadretto idilliaco della solidarietà di due famiglie che si tengono per mano al funerale, l'immagine del biondino secchione dal volto imberbe che può risultare antipatico sì, ma che un paesino, sprofondato nella melma della cronaca nera, non può e non vuole considerare un assassino, di colpo sbiadisce proprio nei giorni della bontà pre-natalizia stereotipata, forzata e, a volte, stucchevole. Così se il dubbio diventa un sospetto e il sospetto, andando per esclusione, ti rimbomba dentro come una certezza ecco, che per la prima volta il buonismo, la riservatezza vengono messi da parte. Per arrivare alla verità. Per andare a vedere, come a poker. Anche se le mani tremano per la paura di scoprire proprio quella «verità» che non si vorrebbe scoprire. Ma tant'è. Perché se da una parte c'è l'agonia dei sentimenti che si affastellano ogni giorno da quel giorno del 13 agosto del 2007, dall'altra parte c'è un'altra agonia, che impone che si cerchi la verità e si faccia giustizia.
E così Rita e Giuseppe Poggi, i genitori di Chiara hanno chiesto, tramite al loro legale Gianluigi Tizzoni di affidare a uno specialista informatico, l'ingegnere romano Paolo Reale, una nuova perizia, dopo quella compiuta dai Ris, sul computer di Alberto. Perché vogliono sapere e capire definitivamente se il computer sia stato spento all'improvviso da Alberto la sera prima del delitto. Perché, in quel gesto di Stasi ci potrebbe essere proprio un altro indizio della sua colpevolezza: la presenza nel pc di immagini e di video, non proprio monacali, di cui si è tanto parlato e sparlato. O magari la prova del suo presunto legame omosessuale. Di cui, pure, si è tanto parlato e sparlato. Così diventa importante capire se Chiara abbia scoperto nel computer del suo ragazzo qualcosa che non avrebbe mai dovuto scoprire e se quella scoperta possa aver scatenato la reazione violenta del fidanzato. Vederci chiaro significa fare un altro passo, dopo che i rapporti tra la famiglia Poggi e gli Stasi si sono gradatamente raffreddati. Dalla scene di pianto sodali al funerale, al più niente. Niente più telefonate ad Alberto e alla sua famiglia, fino all'invito, fattogli esplicitamente giungere di «non cercarli di più» e «di prendere strade e percorsi diversi dai loro». Invito che Alberto, in questi mesi ha preso alla lettera. Non facendo mai il benché minimo accenno a Chiara in ogni sua conversazione (persino in quelle intercettate dagli investigatori) e addirittura imbastendo, sembra, nuove relazioni sentimentali, per dimenticare in fretta il passato. Vitale per la sopravvivenza della famiglia Poggi vederci chiaro. In vista dell'udienza del 24 febbraio in cui il giudice Vitelli deciderà se rinviare a giudizio Stasi, che è e rimane l'unico indagato per l'omicidio di Chiara. E, a maggior ragione dopo un'altra perizia che inchioda Alberto. Centomila simulazioni fatte al computer, in versione tridimensionale dall'ingegner Boccardo del Politecnico di Torino, con tutte le possibili varianti del percorso che Stasi sostiene di aver fatto nel corridoio della villetta inzuppato di sangue quando ha scoperto il cadavere di Chiara. Alberto è uscito con le scarpe immacolate da quel percorso di morte.

Ma quella perizia dice che ci sarebbe riuscito solo volando.

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