Cronaca locale

I giudici: "Nuove Br, violenza evitata solo grazie agli arresti"

Le motivazioni della sentenza d'appello: «Erano già stati fatti sopralluoghi per attentati contro cose e persone»

«Numerosi erano i fatti violenti, in quanto destinati a ledere l'integrità di persone e cose, per i quali erano stati già svolti sopralluoghi e la cui esecuzione è stata impedita dagli arresti del febbraio 2007». Così i giudici della prima corte d'assise d'appello descrivono, nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, il pericolo rappresentato dai presunti esponenti del Partito comunista politico-militare, le cosiddette nuove Brigate rosse. Nelle 243 pagine del documento, Massimo Ruggiero, estensore delle motivazioni della corte presieduta da Maria Luisa Dameno, spiega che «dall'ampia analisi svolta risulta pienamente confermata la sussistenza di un'associazione, con finalità eversive e terroristiche che, contemporaneamente, era anche una banda armata. Il vertice ideologico e operativo delle tre cellule che compongono l'associazione sono il Latino a Milano, il Bortolato a Padova e Sisi a Torino, mentre Davanzo - che è, comunque, al corrente di tutte le iniziative - ha compiti prevalentemente ideologici». Il riferimento è a Claudio Latino e Davide Bortolato, condannati alle pene più alte, 14 anni e 7 mesi di reclusione, a Vincenzo Sisi, a cui hanno inflitto 13 anni e 5 mesi; e ad Alfredo Davanzo, 11 anni e 4 mesi. I giudici illustrano i ruoli di tutti i tredici imputati condannati, di cui è sottolineata la «consapevolezza di essere partecipi di un'associazione con fini eversivi e terroristici». E affermano che «le pene irrorate dal primo giudice, anche a titolo di aumento per la continuazione, non possono essere ridotte perché risultano pienamente commisurate alla gravità dei fatti accertati». In realtà la corte d'appello ha parzialmente riformato le condanne, ma solo in virtù dei reati minori già caduti in prescrizione, e hanno assolto un imputato, Federico Salotto. In relazione ai risarcimenti stabiliti per le parti civili (100mila euro al giuslavorista e senatore del Pd Pietro Ichino, ritenuto uno degli obiettivi del Pcpm, e un milione di euro alla presidenza del Consiglio), la corte d'assise d'appello afferma: «Infondate sono le doglianze (dei difensori, ndr) relative all'entità del risarcimento a favore della parte civile Ichino e della presidenza del Consiglio dei ministri. Sussistono tutti gli elementi su cui sono basate le richieste risarcitorie della parte civile: la condotta, il danno e il nesso di causalità».

Si spiega che «la gravità del danno» patita da Ichino «è conseguente alle gravi limitazioni alla vita di relazione e alle preoccupazioni determinate alla parte civile» secondo cui, si ricorda, «il sacrificio sta in una intimidazione permanente».

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