Londra - «Durante il nostro tormento», così i marinai britannici definiscono nel comunicato la loro disavventura, «abbiamo subito pressioni psicologiche costanti. Ci interrogavano quasi tutte le notti, e ci prospettavano due possibilità. Se avessimo ammesso che eravao sconfinati, saremmo tornati in aereo nel Regno Unito molto presto. Se no, ci aspettavano sette anni di prigione». Talvolta, in occasione degli interrogatori, capitava che sentissero qualcuno alle loro spalle armare il cane di un fucile, e a quel punto temevano il peggio. Subito dopo l'arresto in mare aperto, furono trasferiti in un penitenziario di Teheran. «Eravamo bendati, le mani legate», raccontano. «Poi ci hanno sbattuti contro un muro. Ci spogliarono, ci costrinsero a indossare pigiami. Ci tenevano in celle di pietra di 2 metri e mezzo per 2, all'incirca. Dormivamo su coperte ammucchiate». Unanime la conferma di non aver violato la frontiera marittima iraniana: i quindici insistono che si trovavano in acque irachene, intenti a operazioni di controllo e ispezione sulle navi di passaggio, su regolare mandato delle Nazioni Unite.
«Posso affermare con chiarezza che ci trovavamo a 1,7 miglia nautiche dalle acque iraniane», ha quindi ribadito in conferenza stampa uno dei membri del gruppo, tenente Felix Carman.
«Le loro dichiarazioni parlano da sole», ha commentato una portavoce del Foreign Office, quando le è stato chiesto quali iniziative il governo britannico intenda intraprendere. «Le prenderemo in considerazione prestando loro la più scrupolosa attenzione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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