I pendolari di Sorrentino si raccontano

Per scrivere la drammaturgia di Pendolari, lo spettacolo in scena al CRT Salone fino all’8 novembre, Mimmo Sorrentino ha viaggiato all’alba o a sera inoltrata, dentro vagoni stipati e su convogli immancabilmente in ritardo, lungo la tratta Milano-Torino e Milano-Vigevano. Tra un guasto al locomotore e un calo di tensione sulla rete elettrica, mentre il treno è fermo e nei passeggeri cresce il desiderio di un linciaggio catartico del controllore, Sorrentino ha respirato il disagio, la frustrazione, la rabbia da cui sono nate le recenti occupazioni dei binari.
A scanso di equivoci, va detto subito che l’obiettivo del lavoro non è la denuncia dello sfascio del sistema ferroviario italiano, già di per sé molto evidente. Al centro di questo spettacolo con cui il CRT inizia la personale dedicata al regista – che prosegue con Fratello clandestino dall’11 al 22 novembre, Ave Maria per una gattamorta dal 25 novembre al 3 dicembre e si conclude con Vado via dal 9 al 21 febbraio 2010 – c’è piuttosto il disorientamento, l’aridità emotiva, il senso costante e indefinito di attesa: tutto ciò che, rispolverando un termine ormai passato di moda, potremmo definire alienazione.
I pendolari raccontati da Sorrentino sono donne in carriera, funzionari di banca, creativi a tempo determinato che, a causa di orari di lavoro proibitivi, non si possono permettere il lusso di una vita sociale. Le ore passate in treno, a raccontarsi degli screzi con i colleghi o dei problemi con i figli, rappresentano l’apice della loro attività relazionale. Dai dialoghi sfasati e ripetitivi, dalla voce troppo alta e monocorde, dall’alternanza ingiustificata tra apatia e sovraeccitazione intuiamo quanto sia vuota la loro quotidianità. Seduti sotto la pensilina di una stazione, sembrano attendere, oltre al treno che li porterà al lavoro, un cambiamento della loro esistenza che è anch’esso perennemente in ritardo.
Nella realizzazione dei suoi spettacoli Sorrentino si ispira a un metodo proprio delle scienze sociali, l’osservazione partecipata.

Ciò che rende interessante il suo lavoro è la sottigliezza con cui scandaglia l’interiorità dei personaggi, la capacità di fare un teatro realista e allo stesso tempo trasfigurato, l’assenza di retorica con cui parla di emarginazione e di infelicità metropolitana. E anche il rigore formale che sfiora l’eleganza.

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