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«I portieri italiani sono i migliori ma si valorizzano troppo i vecchi»

Scusi Taffarel, se le dico Dida lei a cosa pensa?
«A cose belle e meno belle; a un grande portiere ridotto a fare sceneggiate inspiegabili».
In Italia c’è la crisi dei portieri. Da Porto Alegre, dove lei vive, come la vede?
«Seguo le partite più importanti, ho visto Dida a Glasgow e in parte lo giustifico per il gol preso a causa del terreno bagnato. Non lo scuso invece per la figuraccia successiva. Però mi sembra che in Italia ci siano buoni portieri».
Più stranieri che italiani e la colpa è un po’ anche sua, visto che è stato il precursore e il primo numero uno brasiliano ad arrivare in Italia.
«Adesso mi ricordate perché sono andato bene nel campionato italiano, ma se fossi andato male chissà quante ne avreste dette a uno che arriva da una nazione di grandi attaccanti. Però mi sento italiano, ho tifato Italia ai mondiali di Germania 2006, i miei figli Carolina e Claudio parlano l’italiano meglio di me, vengo due volte all’anno a Parma, in febbraio e in luglio, ho tanti amici e poi come si mangia a Parma...».
Sì, ma i portieri...
«Julio Cesar, Doni, Dida non sono scarsi; è stato il calcio globale a portarli in Italia, le porte si sono aperte a tutti anche se, lo devo riconoscere, la scuola italiana è la migliore in assoluto. Però ha un difetto: dà troppa fiducia ai vecchi e non valorizza i giovani. Bisogna avere più coraggio, osare anche se commettono qualche errore di troppo. Vedi il caso Buffon: adesso è il numero uno al mondo, il Maradona dei portieri ma, oltre alle doti naturali, è stato impostato, seguito e curato».
Però sembra incomprensibile questa invasione di portieri brasiliani e di altre nazioni.
«Tutti pensano che in Brasile vadano di moda solo gli attaccanti. Per anni è stato così anche da noi, li guardavamo senza emozione, poi la barriera è stata superata, li abbiamo valorizzati e sono “spuntati” bravi portieri come funghi. L’età migliore è intorno ai 16/17 anni, lì si vede se un ragazzo c’è. Uno tra i più bravi era anche Edinho, il figlio di Pelè, poi si è perso per la droga e ora, recuperato, allena proprio i giovani».
Non le sembra che ora il ruolo di portiere sia più difficile rispetto ai suoi tempi?
«Meglio ricordare che con me giocava anche gente come Zenga, Tacconi, Pagliuca, Marchegiani. Insomma, scartine non ce n’erano. Oggi da voi arriva di tutto e quindi non c’è da stupirsi. Certo che il gioco più veloce, la tattica a zona, i materiali diversi del pallone, le regole cambiate oggi complicano non poco la vita dei portieri».
Che devono anche sapere giocare bene coi piedi.
«Io, da buon brasiliano, non ho mai avuto problemi, ma ora è indispensabile sapere calciare anche bene e non solo parare. E poi bisogna sapere uscire con intelligenza perché ormai l’attaccante ti viene sempre contro per cercare il rigore. Ecco perché anche le metodologie di allenamento vanno cambiate rispetto ai miei tempi. Bisogna riconoscere che all’estero c’è meno pressione mediatica sui portieri, li lasciano sbagliare e non li crocifiggono: in Italia, invece, basta un piccolo errore, un’uscita a vuoto per ricamarci su tutta la settimana e per farti perdere il posto».
Proprio per questo da noi va di moda il vecchio: Ballotta (43 anni), Fontana e Balli (40), Bucci (38) senza dimenticare Pagliuca e Peruzzi se decidesse di tornare, magari chiamato dal Milan.
«Sbagliato. Rispetto per gli anziani, ma sono i giovani da valorizzare. È un naturale decorso generazionale che in Brasile si registra e in Italia invece no».
Ma lei ha occasione di sentire qualcuno dei suoi connazionali che giocano in Italia?
«Non spesso.

Con Dida mi sento di più e ci vediamo anche quando vengo in Italia».

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