I «Promessi sposi» scoprono il sociale

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Andrea Indini

Adattare Manzoni e ripensare quel ramo del lago di Como su un palcoscenico è un’operazione che aveva già pensato, tanti anni fa, Pier Paolo Pasolini. Saranno invece Beppe Rosso e Luca Radaelli a portare in scena, solo per questa sera, Il racconto dei Promessi Sposi al Teatro di Verdura di via Senato 14.
Un racconto orale. Cinque attori, in scena dall’inizio alla fine dello spettacolo, sono gli officiatori di un rito che vuole tramandare la testimonianza di vicende vissute all’inizio del XVII secolo, ma che, attraverso il racconto, trascendono il tempo e lo spazio. Renzo, Lucia, don Abbondio, Agnese e fra’ Cristoforo. Ma non solo: la coralità del racconto fa emergere dal tessuto drammaturgico anche le voci dei personaggi minori. Si eleva così il brusìodi un popolo dolente, impaurito e furente, un popolo che deve superare la carestia, gli orrori della guerra e la peste.
«Abbiamo trovato questa impostazione - ha spiegato il regista Beppe Rosso - assai congeniale al nostro modo di fare teatro, legato alla narrazione, alla memoria e alle vicende storiche viste dal punto di vista della gente semplice».
Pensato come l’ideale prosecuzione del precedente spettacolo, Il partigiano J.

, la nuova sceneggiatura scritta da Luca Radaelli affronta da una parte il tema della rivendicazione sociale, sperimentata da Renzo, dall’altra quello della devozione, che porterà Lucia al miracolo.
«Per unire questi temi, - ha continuato Rosso - abbiamo lavorato sui differenti registri che si evincono dal romanzo: da quello lirico delle descrizioni paesaggistiche a quello epico delle azioni di massa».

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