Quante cose, quanta storia, mi riporta alla mente la morte di Marcello Guasti, a 95 anni, poco più giovane di mio padre, coetanei entrambi di Carlo Guarienti, l'artista con cui parlavo ieri al telefono come a un giovane battagliero!
Meno intensa che con altri maestri del Novecento è stata la mia frequentazione con Guasti ma, rispetto a molti dimenticati della sua generazione, presente e vivo grazie alla mediazione di un uomo colto e straordinario, attento all'antico e ai suoi cari maestri del Seicento toscano ma, alternatim, sensibile ad alcuni rari contemporanei isolati, più di altri solidi e memorabili. Da qualche anno Giovanni Pratesi, prima e meglio di molti, ha capito la tensione formale di Guasti, costante nei diversi momenti della sua produzione. Sembra di tornare in un'altra epoca, a leggere che, fra gli ultimi critici di nome che se ne sono occupati, c'è il dolce e dimenticato Michelangelo Masciotta il quale, sempre consapevole, ma talvolta corrivo con gli artisti contemporanei, parlando delle opere di epoca più alta di Guasti le riconosceva «caratterizzate da una intransigenza mentale che portava l'artista a fermarsi su forme precise, quelle che egli chiama arcaiche, che è bene collocare nell'ambito culturale egizio». Raccolgo il suggerimento di Masciotta, e guardo il variegato percorso dello scultore che il destino mi ha fatto misurare di decennio in decennio, dagli anni '40 agli anni '80, nelle stanze della Villa medicea di Mandri a Reggello.
Guasti parte impeccabile disegnatore, sofisticato xilografo e pittore, con temi legati al lavoro lungo le rive dell'Arno, come le barche e i renaioli, in uno stile arcaico e solenne in cui si celava l'imminente vocazione dello scultore. Di questi tempi, che coincidono con quelli della partecipazione alla Biennale di Venezia nelle edizioni del '48 e del '56, sono le prime sculture, prevalentemente in legno. Ma, in un'onda che prende gli artisti italiani in quel decennio cruciale - Mirko, Afro, Mastroianni e lo stesso Leoncillo -, Guasti deve trovare l'archetipo delle forme nella ricerca astratta. Una urgenza che trascinerà altri figurativi nella stessa direzione. Penso anche a Giuseppe Capogrossi. La svolta di Guasti è segnata con il passaggio dalla serie dei Gatti alle sculture di carattere decisamente informale, nell'ambito di una ricerca di espressionismo plastico, intimamente purista. Lo si intende, in coerenza con l'ascendente egizio indicato da Masciotta, nella tendenza a una stilizzazione di impianto severo, con una intransigente pulizia di volumi che anticipa le forme rigorosamente geometriche della produzione matura.
Dalle prime sculture informali si verifica infatti, nella scultura di Guasti, un lungo processo di affinamento verso l'essenza spirituale della forma, dal vuoto dei Concavi e dei Vortici alle strutture degli Equilibri e dei Ritmi, in un percorso che tende a raccontare l'origine essenziale delle cose, cancellando progressivamente ogni traccia della loro identità iconica. In questo percorso, le sfere metalliche, rotte e animate all'interno da altre forme, sono il compimento di un'aspirazione antica, quella dell'artista a penetrare la materia e a indagarne i segreti, ma anche il punto di partenza per altre soluzioni plastiche che sappiano sfruttare questi segreti e dare sfogo all'energia sopita della materia. Nella vasta produzione degli anni '70, '80 e '90, Guasti mostra di aver superato la sperimentazione, definendo un linguaggio coerente e riconoscibile, espresso in solide forme geometriche inalterabili, in equilibrio fra ciò che si vede e ciò che si sente. In questa fase centrale della sua produzione, come osserva Dino Pasquali, Guasti affianca e contrappone sapientemente «il lucido all'opaco, il legno all'alluminio e al bronzo, il metallo al cemento, il marmo al plexiglas e, non rifuggendo perciò da timbrici effetti d'ordine quasi pittorico, si rivela non solo manipolatore di sostanze fisiche, ma anche elaboratore concettuale superbo nel ricondurre ad una cifra tutta sua i materiali culturali in circolazione».
Sono scelte di piena consapevolezza, ma anche di grande disorientamento, per una sorta di obbligatorietà a essere astratti, dopo il monito di Arthur Rimbaud: «Il faut être absolument moderne». Un imperativo cui solo la sensibilità di Guasti riesce a sottrarsi, per un profondo rigore etico, ma che gli inibisce una originalità ribelle. Così parla di una entelechia o anima della materia, che ha una sua forma che prevale sulle forme. Meglio, una natura. Come egli stesso scrive: «Mi interessa la liquida trasparenza del plexiglas che mi permette di coniugare senza soluzione di continuità lo spazio circostante con la fluida massa della scultura, la lucentezza del cromo le cui superfici proiettano e ribaltano, creando ambiguità e deformazioni, la luce e lo spazio, la fredda superficie satinata dell'acciaio inossidabile e le vivide e brillanti vernici industriali, e nello stesso tempo mi attrae e affascina l'organica vitalità del legno, la calda tonalità del bronzo e le infinite varietà cromatiche della pietra e del marmo». Emblematica la scultura Mare montano del 1992. In essa Guasti rinuncia a plasmare le forme per far parlare la materia con la sua potenza, la sua energia. A questo soccorre la lunga esperienza, il mestiere degli anni della formazione, con il richiamo alle forme astratte del cerchio e della sfera. Nella piena maturità (1990-1995), con questi archetipi, realizza per il Comune di Firenze una scultura, Terra, aria, acqua, fuoco, in un'area prossima al casello autostradale Firenze-Impruneta dell'Autostrada del Sole, costituita da due linee convergenti verso l'alto, di circa dieci metri, in cemento e bronzo, con un gruppo di massi alla base.
Guasti è uno scultore da camera anche nelle grandi dimensioni, che il
suo occhio domina per disciplina interiore. Per chi non vedrà le opere e le mostre della Fondazione Pratesi, una scelta delle sculture di Guasti è stabilmente visibile nella Galleria d'arte moderna Aroldo Bonzagni di Cento.
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