Roma Su e giù per l’Italia, tra treni di pendolari e fattorie padane, tra visite ai mercati e foto ricordo con gli studenti, Dario Franceschini conduce senza risparmio di energie la difficile campagna elettorale del Pd.
Batte sulla crisi economica e le risposte «insufficienti» del governo, la campagna del segretario, che deve convincere il suo popolo che il Pd fa la vera opposizione a Berlusconi. E batte sulla preoccupazione dell’elettorato di sinistra davanti ad un possibile dilagare del centrodestra, ricordando la necessità di fare «diga» per arginare l’espansione del consenso del premier: «Se tra il Pd e il Pdl il divario si allargasse e dagli attuali 4-5 punti diventasse - poniamo - di 15, potrebbe accadere di tutto in questo Paese», ha detto ieri alla Stampa. L’obiettivo, per Franceschini, è tenere il più possibile dei voti di un anno fa, quando trainato dalla nuova leadership di Walter Veltroni e dalla bipolarizzazione di una campagna elettorale che spazzò via le forze minori, il Pd superò di slancio il 33%.
Un risultato che nessuno pensa ragionevolmente di ripetere in queste elezioni europee, dove i concorrenti a sinistra si affollano e puntano dritti, a cominciare da Tonino Di Pietro, all’elettorato democrat, e l’appello al «voto utile», come riconosce lo stesso segretario, stavolta non può funzionare. E lo fa notare, con qualche sarcasmo, l’ex numero due di Veltroni, Goffredo Bettini, oggi in forte polemica col nuovo segretario: «Sento in giro che oggi tutti si accontenterebbero del 25%, quando un anno fa il quasi 34% venne criticato fino a crocefiggere Walter...».
In verità, c’è anche una strategia psicologica nel far trapelare dati sconfortanti sui possibili risultati del Pd: suscitare una preoccupazione che spinga l’elettorato incerto ad andare a votare; e abbassare le aspettative in modo che se poi il risultato reale fosse più brillante sarà difficile «crocefiggere» anche questo leader.
Di numeri ne girano tanti, in questi giorni. Gira anche la voce di un sondaggio riservato, commissionato dai vertici Pd su base circoscrizionale e su un campione molto ampio, che avrebbe allarmato assai perché dà il principale partito di opposizione in bilico attorno al 23%. Un risultato catastrofico, se fosse vero. Altre rilevazioni invece appaiono più rassicuranti: Swg attribuisce al Pd nell’Italia centrale una forchetta tra il 31,5% e il 34,5% (aveva il 38% nel 2008), e un dato nazionale attorno al 26%. Stessa percentuale complessiva tirata fuori da Ipsos, mentre Piepoli alimenta l’ottimismo con il suo 29%. In realtà, le notizie che sollevano di più il morale di Franceschini e dei suoi sono quelle che trapelano dall’accampamento avversario: voci secondo le quali lo stesso premier sarebbe convinto che il Pd non andrà poi così male alle Europee perché il «richiamo della foresta» antiberlusconiano funzionerà, almeno sul suo zoccolo duro, e dunque un risultato tra il 27 e il 28% è tutt’altro che impossibile. Non proprio un exploit, certo, ma un rassicurante approdo in zona salvezza, che avrebbe come effetto collaterale quello di consolidare assai le posizioni di Franceschini dentro il suo partito.
Le preoccupazioni più forte però restano le amministrative: «Ci sono 30 province, la metà di quelle in cui si vota il 7 giugno, che potrebbero passare di mano, da noi al centrodestra», spiegava qualche giorno fa Enrico Letta a Montecitorio. Sopra il Po si prevede uno sterminio, sotto il Vesuvio una débâcle, e i contraccolpi arriverebbero inevitabilmente anche a Roma.
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