Iachini sfida la sorte e il Brescia manca il sorpasso

In oltre trent’anni di panchine non era mai arrivato così in alto. Riuscendo a dare un’anima alla sua Lazio, che invece mancava dalla vetta da due anni. Edy Reja è il «vecchietto» dei tecnici di serie A: 65 anni il prossimo 10 ottobre, a 34 la prima panchina in D con il Molinella grazie alla spinta della moglie Livia («la mia consigliera», ha sempre sottolineato l’allenatore goriziano), donna che gli fece conoscere il suo amico Fabio Capello, con il quale ai tempi della Spal, sua prima squadra da calciatore, divideva una stanza in affitto.
Reja prese le redini della Lazio nel febbraio scorso, quando era penultima in classifica. E dopo la salvezza ottenuta senza problemi, ha plasmato la squadra biancoceleste, riuscendo a sfoltire una rosa «esagerata» e a potenziare il gruppo sul mercato. Archiviato il brutto scivolone a Genova con la Samp, la Lazio camaleontica (già cinque formazioni diverse in altrettante partite) ha iniziato a marciare. Da ieri è prima in classifica, insieme alla corazzata Inter. Nell’anno in cui Lotito ha speso più di Moratti, portando a Formello con 13,5 milioni di euro messi sul piatto il gioiello del San Paolo Hernanes - inseguito dal Milan dopo il divorzio da Kakà - diventato il «profeta» di questa squadra.
Il primato arriva a Verona, campo tradizionalmente amico dei biancocelesti (ieri la quarta vittoria consecutiva in casa del Chievo) e con il gol di Maurito Zarate, che ha interrotto un digiuno durato sette mesi. Il rapporto tra il talento argentino di Haedo e l’allenatore di Gorizia era entrato in corto circuito. Colpa delle continue esclusioni dell’attaccante dai titolari. «Zarate non era stato messo da parte, il tecnico ha attuato semplicemente il turnover», così Lotito che l’anno scorso aveva riscattato con 20 milioni la punta sudamericana dall’Al Sadd. «Il gol mi mancava, il mister sa che può contare su di me, è giusto che alterni gli elementi a sua disposizione», il messaggio da «calumet della pace» di Maurito. «Se fa quello che gli chiedo, con me giocherà sempre», tira la linea Reja.
La Lazio si ritrova in vetta dopo un biennio: l’ultima volta fu il 5 ottobre del 2008 (in panchina c’era Delio Rossi) alla sesta giornata, allora condivideva la vetta con Udinese e Inter. Per Reja la soddisfazione più grande: il primato lo aveva sfiorato a più riprese a Napoli, dove aveva raggiunto il record di 700 panchine tra i pro: in 4 anni, aveva portato il club dalla C alla A e addirittura in Coppa Uefa, prima dell’esonero notturno nel marzo 2009. Un cantautore napoletano gli dedicò anche un inno d’addio, ispirato al successo di Laura Pausini «La solitudine». Breve ma intensa esperienza all’Hajduk Spalato, poi il richiamo della Lazio nonostante i tifosi croati gli avessero mandato messaggi accorati per restare.
Sette calciatori mandati in gol (record per la serie A di quest’anno), continui cambi di modulo, gioco frizzante e utilizzo ampio della rosa a disposizione. Questa la ricetta di Reja, che dopo essersi arrabbiato per le critiche piovutegli addosso alla fine di Lazio-Milan di mercoledì, ieri ha fatto professione di umiltà. «Abbiamo dieci punti, ce ne mancano 30 alla salvezza», così il sergente buono (il soprannome che più gli piace) con gli hobby del golf e della vela. Nella pancia del Bentegodi la tv svela le istruzioni dettate a Hernanes con l’aiuto del difensore Dias («parlare portoghese mi riesce difficile, non sono andato a lezione da Mourinho che comunque conosce 10 lingue ed è il più bravo di tutti, conosco l’italiano a malapena...», scherza Reja). E proprio ad Hernanes ha affidato le chiavi della squadra, alternando attorno a lui gli elementi della rosa. «Devo fare i complimenti ai ragazzi perché ogni settimana cambio il modo di giocare e l’interprete - ha sottolineato il tecnico della Lazio -.

Finché i ragazzi accetteranno questa situazione, formeremo un gruppo solido e potremmo prenderci grandissime soddisfazioni». La prima è quella di aver agganciato l’Inter. «Ma in questo momento non guardiamo la classifica», così il presidente Lotito. Che si gode la sua creatura, tornata ad essere amata anche dai suoi tifosi.

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