Immigrazione, serve un «collocamento» nei Paesi di origine

Caro dott.Granzotto, le chiedo il suo pensiero sulla vexata quaestio dell’immigrazione, sotto i profili che seguono. Mi sembrano fondamentali tre aspetti. Primo: affinché l’integrazione sia meno difficile, sarebbe preferibile far entrare persone provenienti da Paesi che, almeno per qualche importante aspetto, siano meno dissimili dal nostro (religione, lingua, costumi vari ecc). Fare l’opposto significa creare problemi enormi per oggi e per domani, per noi e per loro; altro che arricchimento derivante dalle diversità! Secondo: penso che la maggior parte degli italiani accetterebbe di buon grado, pur di non farsi ulteriormente rompere, di farsi tosare con una tassa speciale destinata a promuovere lo sviluppo dei Paesi del Terzo mondo, unica via che risolverebbe i problemi alla radice. Terzo: mi sembra incredibile che non venga mai esaminato un aspetto che è invece illuminante per capire che la cosiddetta accoglienza deve pur avere un limite. Quale si ritiene opportuno che possa essere il numero massimo di abitanti dei nostri 300.000 km quadrati (in parte montagnosi)? Quando, intorno al 1950, il sottoscritto faceva le scuole medie, l’Italia veniva già descritta come Paese a elevata densità di abitanti, ed eravamo una quindicina di milioni in meno di oggi! Qual è dunque il numero di abitanti da non superare per evitare che ci si pestino i piedi a vicenda? Se si divide il numero di 60 milioni di persone per la lunghezza dell’italico sviluppo costiero si ottiene un numerino impressionante che è 20.

Ciò significa che se tutti gli italiani decidessero di schierarsi lungo le coste per bagnarsi i piedi nell’acqua del mare, assegnando a ognuno un metro di litorale, avremmo ben 20 file di persone. Chi si trovasse in ventesima fila, per entrare in acqua dovrebbe aspettare che 19 persone che gli stanno davanti abbiano terminato le proprie abluzioni. Sarà un esempio un po’ ridicolo ma che vuol farci, a me piace.

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