INCUBI DEL NOVECENTO

Un viaggio allucinante nei misteri delle tenebre «incurabili» Ma la nera signora è la custode della vitale incoscienza dell'uomo

INCUBI DEL NOVECENTO

L'individuo e la società. Fra questi due vertici si muove il pendolo che scandisce la storia del Novecento. Un autore celebre (ma non abbastanza celebrato) e un altro al suo primo (eccellente) romanzo. Il Salone internazionale del libro di Torino si aprirà fra undici giorni, e noi abbiamo deciso di avvicinarci in anticipo all'appuntamento. Per farlo abbiamo scelto loro, Giorgio Manganelli e Lutz Seiler. Del primo presentiamo un inedito, frutto delle sue inquietudini, il secondo ce lo presenta il nostro germanista. L'incubo della psiche e quello della politica. L'individuo e la società. Il pendolo del '900 oscilla ancora.

diDa quale trauma venga la catatonia notturna. Da millenni la notte non muta: essa è, forse, incurabile, e gli indizi che noi abbiamo in rozzi segni, i manoscritti e graffiti, ci dicono come i gesti della notte siano sempre identici, immersi in una follia costante come deve essere costante la sua devozione. Dunque la malattia della notte, quel suo vano concentrarsi nella solitudine sovraffollata di pochi gesti rovinosi e apocalittici, la sua fissità taciturna, la penosa astuzia dei suoi poveri ammiccare, risalgono a tempi iniziali, primigeni. Fu forse il diavolo, il capovolto, a suscitare in lei uno sventurato amore, e in suo onore si è la notte trasformata, con la stolida mimesi dell'amorosità, in imitazione di una anima d'inferno? O forse sarà la sua follia indizio di quel che talun teologo problematico sospetta, essere cioè morto il Dio che presiedette alla creazione, essersi forse disfatto nell'orrenda pena del parto (e allora l'amore della notte e del Dio sarebbe precreazionesco, al tempo dei vortici iniziali); o forse lo sgomento della macchina sassosa ed omicida avviata negli spazi ha ucciso il buon Dio, ignaro che tanta mole stava per nascere dalla sua scelta temeraria. E allora forse il buon Dio prese a languire, a crucciarsi, forse a smaniare e impazzire, e la notte amorosa si crucciava al suo capezzale, gli dava bevande di amorosa attenzione, brodi assistenziali, carezze di minuta pasta: dal che sono indizio l'abbandonata scodella della luna, che sempre ruota tra l'una e l'altra cucina dello spazio, coinvolta nella follia della sua madre, in cerca del Dio cui offrire il proprio tepore; e così le pastine stellari si sperdono per i cieli, inane, ora che egli è morto; o forse è egli stesso impazzito, e si è sprofondato nel suo nulla, e la notte si è estesa quanto lo spazio intero per trattenerlo nelle proprie braccia; e quelle tenebre sono date dalla sovrapposizione delle sue follie, l'una centripeta, l'altra centrifuga. Chi vuole una religione lusinghiera per i mortali, potrà suggerire essersi la notte innamorata di creatura mortale: non umana certo poiché la follia della notte si perde nella notte dei tempi; ma di qualche vezzoso rettile primigenio, un dinosauro dal passo di dandy, uno stegosauro sofisticato, o una littorina fragile e poetizzante, o magari un marziano di gran cervello e arido cuore. Se così fosse, potrebbe aggiungere, si spiegherebbe quel tipico guardare in giù della notte, sul nostro sistema solare, sulla culla degli stegosauri, il consolato degli pterodattili; e forse la luna è l'occhio della grande orba, con cui scruta il suolo alla ricerca di un'orma, o forse di quella diletta tomba, quel sepolcro senza epitaffio, sotto il cui marmo riposa un corpo immane, o piuttosto il suo resumé, il suo nulla, ciò che ebbe scaglie ed epa ed organi per allietare la dedizione notturna.

Se la notte sia curabile. Se la catatonia notturna ha tale antichità, sia contemporanea dei rettili - angosciose scarmigliature della testa disperata, mentre i rettili vanno morendo! - o se anzi coeva del (...)

(...) primo coagularsi delle rocce, e del morire del Dio col primo aggregarsi del male - oh tenerezza tenebrosa del materno manto attorno al trono desolato e solo! - la catatonia notturna pare certo assai inveterata, e dunque solida e compatta; e, come accade, l'universo ha imparato a prendere per scontata la catatonia della notte, a farci affidamento; e certi moti, certi gesti dello spazio accadono in quanto c'è questa vecchia matta, questa zia chiusa in solaio, questa rugosa demente; e se rinsavisse, se le cadesse di mano la scodella ormai inutile, se chiudesse l'occhio ossesso, se sparecchiasse dalla sua anima polverosa quella tavola intorno a cui nessuno siederà più in cena amorosa, se rinunciasse al ludibrio dell'accattonaggio amoroso, se ammutolisse le sue labbra sommesse ma instancabilmente innamorate; se infine mandasse la sua nera veste al gran lavandaio e si indossasse una parure di luce, come doveva essere nei primi tempi, in cui un piumino di nulla accoglieva il suo corpo affettuoso; se tutto ciò accadesse, lo sgomento certo sconvolgerebbe i cieli, le stelle esiterebbero a ruotare, da pastina, da gesti dell'indice, da diamanti sciolti in dedizione, rifatti corpi gelidamente infuocati, esiterebbero a percorrere lo spazio, il prato alla cui nera erba medica si erano da millenni abituati; la luna, immersa nella luce della buona notte, si scioglierebbe come burro nella padella; e noi stessi, non più protetti dalla inconsapevole complicità della zia matta, ci sorprenderemmo in un mondo in cui la sanità mentale della notte appare incompatibile con la sanità mentale di qualunque altra creatura vivente. Dunque, l'intero universo, dai pianeti ai rettili, sospira e cospira in omaggio alla demenza della notte; ma per taciturna correità, non osa pensare o contribuire alla sua salvezza. E questo, potrà ribadire un predicatore apocalittico, questo è il grande peccato, l'orrendo peccato, l'imperdonabile peccato, il codardo, iniquo, sordido peccato, che fa di noi tutti degli assassini della notte; che ci fa pronti a ribadire con documenti falsi, con mentite perizie, con frodolente expertises di psichiatri non meno di noi uomini comuni spauriti alla prospettiva della guarigione della notte, pronti a mentire, giurare il falso, dare falsa testimonianza, portare testimoni subornati, per estorcere infondate dichiarazioni: «la notte scorsa, ho notato che la notte si comportava in questo e quest'altro modo»; «abbiamo cercato di spiegare alla notte che certe eclissi non si facevano”... ahimè, tutto, purché l'universo continui ad essere la cella in cui langue la mite, la paziente, l'arcaica demente. \

Terribile la notte in cui la notte guarirà della propria notturnità; voleranno le stelle, i pianeti correranno da ogni parte abbaiando come botoli atterriti, la luna rotolerà come una forma di formaggio parmigiano, e forse ci sarà dato di vederlo di costa. Ci sarà gran frastuono di vetri infranti, e per molti giorni la terra sarà immersa nella saliva della grande epilettica. E poi forse la notte dovrà dormire a lungo, e noi rispetteremo il suo sudore, il suo languore arcaico; e attenderemo il suo risveglio, forse dopo altri millenni, e ci passeremo di padre in figlio la domanda da farle: ora puoi dirci per dove si passa?

Giorgio Manganelli

Per gentile concessione dell'editore, presentiamo un brano di Catatonia notturn a (Nino Aragno Editore, euro 12), libro inedito di Giorgio Manganelli scritto poco prima di Hilarotragoedia , la sua opera d'esordio uscita nel '64 da Feltrinelli, quella che diede il tono alla sua scrittura onirica e tormentata.

In Catatonia notturna , che verrà presentato al prossimo Salone di Torino, Manganelli svolge un'indagine, fatta di ipotesi e di rimandi letterari e psichici, sull'origine e il destino della notte e conseguentemente degli uomini che, loro malgrado, la abitano.

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