Milano - «L’inflazione è un problema? Ovviamente». Il neo ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, calca un po’ la voce su quell’ovviamente. Il carovita che morde il potere d’acquisto degli italiani, costringendoli perfino a modificare abitudini di spesa radicate nel dna, non può che essere un problema. Difficile da risolvere, peraltro, perché alimentato da quella variabile impazzita che sono i prezzi dell’energia, una sorta di calamita attira-rincari.
L’Istat ha certificato ieri che i prezzi al consumo sono cresciuti in aprile del 3,3% su base annua (più 0,2% a livello mensile), confermando i dati diffusi dalle città campione, ma il dato più significativo è un altro: è il 5,1% di aumento che colpisce la cosiddetta spesa di tutti i giorni, da cui possiamo percepire con precisione quotidiana l’effetto dei rincari sul nostro portafoglio. I ritocchi più decisi ai listini riguardano infatti i carburanti, con i prezzi del gasolio più salati di quasi il 20% rispetto a un anno fa. Un picco, sostiene il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che indica «la stretta dipendenza che esiste in Italia tra l’andamento dei prezzi al consumo e quello dei prezzi dei prodotti petroliferi. È un’ulteriore conferma - aggiunge Scajola - di quanto sia importante che il nostro Paese si doti al più presto di un piano energetico che punti alla diversificazione delle fonti e riduca la nostra dipendenza dal petrolio e dagli altri combustibili fossili».
L’allarme non riguarda comunque solo i prodotti energetici. La pasta, il vero pilastro della dieta mediterranea, ha subìto un rincaro di quasi il 19%; il pane è più caro del 13%, il latte dell’11%; il gruppo latte, formaggi, uova mostra aumenti del 13%. È una corsa non priva di conseguenze. La Confederazione italiana agricoltori (Cia) segnala un calo dei consumi nel primo trimestre pari allo 0,7%. La percentuale sembra minima, ma basta spostare la lente sui singoli capitoli di spesa per capire meglio le proporzioni del fenomeno. I prodotti più colpiti dal calo delle vendite, spiega la Cia, sono proprio il pane (meno 6%) e la pasta (meno 2,8%), oltre alla carne bovina (meno 3,4%), agli ortaggi (meno 5,5%), all’olio di oliva (meno 5%) e alla frutta (meno 1,8%). In controtendenza, sono solo la carne avicola (più 1,6%), il latte e i derivati (più 3,5%) e il vino e gli spumanti (più 2,2%). Per affrontare la situazione, la Cia torna a promuovere le sue richieste: l’introduzione del doppio prezzo (origine e dettaglio) sulle etichette dei prodotti, la costruzione di rapporti più stretti nella filiera agroalimentare e l’istituzione di osservatori dei prezzi regionali. Anche la Coldiretti denuncia «i troppi passaggi e le inefficienze odierne che portano i prezzi alle stelle per i consumatori e danneggiano le imprese agricole due volte perché riducono i margini e favoriscono il calo dei consumi».
Secondo la Coldiretti, i prezzi dei
prodotti alimentari aumentano in media di cinque volte nel percorso dal campo alla tavola, con differenze tra i diversi prodotti che vanno da tre volte per frutta e verdura a quattro per il latte e fino a dieci per il pane».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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