Dimenticare appuntamenti, fare fatica a concentrarsi, perdere il filo di un discorso. Segnali che possono essere liquidati come normali conseguenze dell’età che avanza, ma che in alcuni casi nascondono qualcosa di più. È il terreno del disturbo cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, Mci), una condizione intermedia tra l’invecchiamento fisiologico del cervello e le forme di demenza, al centro di un’importante ricerca europea.
Che cos’è l’Mci e perché non va sottovalutato
L’Mci si manifesta con difficoltà di memoria, attenzione e ragionamento più marcate rispetto a quelle attese per l’età, ma senza compromettere in modo significativo l’autonomia quotidiana. Non si tratta di demenza, e non tutte le persone colpite sono destinate a svilupparla, alcuni restano stabili nel tempo, altri possono addirittura recuperare una funzione cognitiva quasi normale.
Tuttavia, per una parte dei pazienti l’Mci rappresenta una fase di passaggio verso forme neurodegenerative più gravi, come la malattia di Alzheimer. Ed è proprio individuare in anticipo chi è maggiormente a rischio l’obiettivo principale della ricerca scientifica.
I risultati dello studio europeo Ai-Mind
Nuove risposte arrivano dal progetto Ai-Mind (Artificial Intelligence Mind), i cui risultati sono stati presentati a Roma nel corso dell’assemblea generale del programma. Lo studio ha seguito 1.022 persone con Mci in quattro centri clinici europei, Madrid, Oslo, Helsinki e Roma, monitorandole per due anni.
I dati mostrano che circa il 10% dei partecipanti è evoluto verso una forma di demenza entro 24 mesi, mentre un ulteriore 20% ha registrato un peggioramento significativo delle funzioni cognitive pur restando nella diagnosi di Mci. Numeri che confermano come questa condizione rappresenti un fattore di rischio importante, ma non uniforme.
Un progetto europeo basato sull’intelligenza artificiale
Avviato nel 2021 e finanziato dalla Commissione Europea con circa 14 milioni di euro attraverso il programma Horizon 2020, Ai-Mind coinvolge 15 partner di 8 Paesi europei, oltre a più di 100 ricercatori e specialisti. In Italia hanno partecipato, tra gli altri, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Policlinico Gemelli e l’Irccs San Raffaele.
Tra il 2021 e il 2023, oltre 275 pazienti italiani sono stati sottoposti a valutazioni approfondite, test neuropsicologici, analisi genetiche, esami strumentali avanzati, dosaggio dei biomarcatori dell’amiloide nel sangue ed elettroencefalogrammi ad alta densità, ripetuti a intervalli regolari. L’obiettivo è ambizioso, utilizzare l’intelligenza artificiale per incrociare questi dati e costruire modelli predittivi in grado di riconoscere precocemente chi ha maggiori probabilità di sviluppare una demenza.
I numeri del disturbo cognitivo lieve
Secondo le stime, in Italia convivono con l’Mci oltre 950 mila persone, mentre in Europa il numero sale a circa 10 milioni. Una popolazione ampia, per la quale una diagnosi tempestiva potrebbe fare la differenza, consentendo interventi mirati, controlli più ravvicinati e una migliore pianificazione dell’assistenza.
Come sottolineano gli esperti, l’Mci di per sé non comporta una perdita di autonomia, ma proprio per questo rischia di essere sottovalutato o intercettato troppo tardi.
Nord Europa più esposto
Uno degli aspetti più interessanti emersi dallo studio riguarda le differenze geografiche. Nei Paesi del Nord Europa, in particolare Scandinavia e area nordica, è risultata più frequente la presenza della variante genetica Apoe ε4, da tempo associata a un aumento del rischio di sviluppare l’Alzheimer.
In queste popolazioni sono stati rilevati anche livelli più elevati nel sangue di biomarcatori legati ai processi neurodegenerativi. La combinazione tra predisposizione genetica e indicatori biologici sembra tradursi in una probabilità maggiore di progressione verso la demenza rispetto alle popolazioni dell’area mediterranea.
Non solo geni
Le differenze osservate non si spiegano però solo con il DNA. Secondo i ricercatori, entrano in gioco anche altri fattori, il livello di istruzione, le modalità di diagnosi, la definizione clinica dell’Mci e l’organizzazione dei sistemi sanitari nazionali. Questi elementi influenzano sia la capacità di individuare precocemente i pazienti a rischio, sia la gestione del percorso diagnostico e assistenziale. Da qui l’esigenza, sottolineata dagli esperti, di armonizzare procedure e criteri a livello europeo.
Verso una diagnosi sempre più precoce
La grande quantità di dati raccolti sarà ora analizzata attraverso algoritmi avanzati di intelligenza artificiale. L’aspettativa è identificare pattern e caratteristiche capaci di distinguere con precisione i soggetti destinati a sviluppare una demenza, e in particolare l’Alzheimer.
Un passo decisivo verso una
diagnosi precoce, considerata oggi una delle sfide più urgenti della medicina del terzo millennio, in un contesto di popolazione sempre più anziana e con un impatto crescente delle malattie neurodegenerative sulla società.