Inseguendo l'"alfabeto" esistenziale di Serafini nel labirinto della Masone, tra uova e scheletri

Esposti i disegni originali (e non solo) del "Codex", opera nata dal fortunato incontro tra l'artista e Franco Maria Ricci

Inseguendo l'"alfabeto" esistenziale di Serafini nel labirinto della Masone, tra uova e scheletri
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Il Codex Seraphinianus è un'enciclopedia di un mondo che non esiste, scritta in una lingua che non esiste, con un alfabeto che non esiste: vedere in mostra questa opera d'arte del non-essere che invece è, un'opera monstre di Luigi Serafini, è un motivo in più per tornare a visitare quel luogo immaginifico che è il Labirinto della Masone, nel suo decimo anno di nascita. Siamo a Fontanellato, Parma, dove è nato il Labirinto più grande del mondo da un'idea geniale e bizzarra di Franco Maria Ricci (1937-2020), editore, designer, collezionista, bibliofilo e anche molto altro. Bene. Nell'edificio centrale della Masone (il labirinto è visitato ogni anno da circa 100mila persone), là dove è esposta la collezione permanente di opere d'arte di Ricci (dalle auto d'epoca ai libri antichi), possiamo ora immergerci in un altro labirinto di segni e disegni, partorito dalla fantasia di Luigi Serafini di cui Franco Maria Ricci fu il primo editore.

La mostra da serafini a luigi. L'uovo, lo scheletro, l'arcobaleno (fino al 13 luglio) ripercorre la carriera dell'artista, architetto e designer, oggi gagliardo 75enne, secondo l'unica cronologia da lui stesso accettata: epoca pre-Codex, epoca Codex, epoca post-Codex. Nella prima parte, ecco il Serafini che, da Roma dopo gli studi al Collegio Nazzareno dei Padri Scolpi («oggi un hotel di lusso con la moquette all'ingresso») e la laurea in architettura, va in America «dove i giovani si muovevano al ritmo dei bit, ché Internet stava per nascere come reazione del Dopoguerra e all'impossibilità di comunicare». Il «gioco grafico» del Codex nasce a metà anni '70 «dalla combinazione di disegno e scrittura»: è «un'urgenza per cui ricordo che rinunciavo anche ad andare al cinema» e va avanti a lungo, nutrendosi di letture di semiotica, antropologia, linguistica che una mano capace già dall'età di 3 anni di disegnare su tutto il muro disponibile in cameretta trasforma in un'incredibile enciclopedia illustrata. Quando l'artista presenta le tavole a Franco Maria Ricci è amore a prima vista: il volume del Codex esce nel 1981 con la presentazione di Vittorio Sgarbi che nello stesso anno espone alcune tavole in una mostra a Palazzo Grassi di Venezia. Roland Barthes vuole saperne subito tutto, un critico rigoroso come Federico Zeri elogia il progetto e Italo Calvino ne è sedotto tanto che da un suo testo trae spunto il titolo della mostra. Vedere ora alla Masone una parte consistente di quel progetto nato su carta ruvida Fabriano 4, impreziosita dal fondo azzurro voluto da Ricci, è puro incanto, complice un riuscito allestimento. «Abbiamo ripreso i colori della mia casa di Roma vicino al Pantheon», spiega Serafini mentre, nella sala che chiude il percorso espositivo, ci aggiriamo tra i coloratissimi esemplari dell'ultima produzione, quella post-Codex: dipinti, fotografie, sculture.

Sulla «Domus Seraphiniana» romana vale la pena soffermarsi, visto il recente sfratto richiesto dal Sovrano militare dell'Ordine di Malta, proprietario dell'immobile: fino a giugno è stato sospeso grazie a un'ordinanza dei giudici del Tribunale di Roma i quali ritengono che la casa debba essere tutelata per motivi estetici (la soprintendenza locale, in tutto ciò, tace). «Non è la mia casa, anche se ci vivo: è un'opera d'arte totale. Non mi arreca dolore separarmene, ma il fatto che sarà smantellata per farne, chissà, l'ennesimo hotel» Io sogno ancora di trasformarla in una casa-museo di cui potrei essere il custode, per offrire ai visitatori di passaggio l'ingresso a questo universo», ci dice Serafini, con quel lampo sempre vivo negli occhi.

In una Roma divorata dall'overtourism sarebbe una boccata d'aria e di colore, l'accesso a un mondo alternativo e stralunato infarcito di citazioni ironiche, allusioni e trabocchetti: un labirinto mentale da cui nessuno avrebbe voglia di uscire.

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