da Roma
Contro un sistema «degenerato», come dice Angelino Alfano, il governo approva all’unanimità il disegno di legge sulle intercettazioni: consentite per tutti i reati con pena minima di 10 anni, ma anche per quelli contro la pubblica amministrazione (con pena prevista non inferiore a 5 anni), per corruzione, ingiuria, minaccia, usura, molestia, stalking e per tutti i casi in cui le richiede la vittima sulle sue utenze; autorizzazioni all’ascolto da un collegio di 3 magistrati; durata massima 3 mesi; pena fino a 5 anni per i pubblici ufficiali che violano il segreto istruttorio e fino a 3 anni per i giornalisti che pubblicano le notizie, con ammenda fino a 1032 euro.
A Palazzo Chigi i ministri ritrovano l’unità, soprattutto con la Lega che ha ottenuto le modifiche che chiedeva. «Non vogliamo e non possiamo vivere in un Paese in cui si viene spiati. Abbiamo preso un preciso impegno in campagna elettorale con i cittadini e lo abbiamo rispettato» avrebbe ricordato Silvio Berlusconi. Che in serata, intervenendo al telefono a una convention elettorale a Messina, ha confermato anche un altro impegno elettorale: «Stiamo lavorando al Ponte sullo Stretto. Porteremo davvero 300 milioni di euro per la realizzazione delle opere infrastrutturali indispensabili per questo territorio».
Tornando alle intercettazioni, il Guardasigilli Alfano ha sostenuto che c’è la possibilità di una convergenza con la minoranza se dal Parlamento verrà un «contributo propositivo». E poi, il provvedimento s’ispira alla «filosofia» del ddl voluto dal suo predecessore Clemente Mastella, che il ministro cita sulle spese per le intercettazioni: 1 miliardo 300milioni di euro tra il 2003 e il 2006, senza il costo delle trascrizioni.
Dal Pd arrivano pesanti critiche per norme «sbagliate e pericolose», come le definiscono i ministri ombra dell’Interno Marco Minniti e della Giustizia Lanfranco Tenaglia, annunciando battaglia in aula, mentre l’Udc è positiva. Chi davvero usa la mano pesante è Antonio Di Pietro: boccia le misure «illogiche e contraddittorie» che hanno «violentato norme utili per la giustizia» e minaccia un referendum per abrogarle. Poi, attacca Alfano, che fa «il fotocopista», mentre il vero ministro è l’avvocato del premier, Niccolò Ghedini. «Ci incateneremo in aula», annuncia Massimo Donadi dell’Idv.
Protestano anche i magistrati dell’Anm, perché sono esclusi «reati gravissimi», e i giornalisti minacciano lo sciopero. Ma ai primi il Guardasigilli assicura che potranno lavorare «con efficacia» e che le intercettazioni rimarranno per tutti i reati «di grande allarme sociale». Ai secondi spiega che non è previsto il carcere, come sembrerebbe dalle anticipazioni perché il testo finale ancora non è pubblico, facendo capire che alla Camera la linea si potrebbe ammorbidire. Le nuove norme non varranno per i processi in corso, ma solo per il futuro; le intercettazioni autorizzate per un’indagine non saranno utilizzabili in un procedimento diverso e il magistrato che esterna su un caso di sua competenza, non se ne può più occupare. Il ddl, dice Alfano, rispetta la Costituzione per la privacy e «ha piena copertura europea, per la Convenzione dei diritti dell’uomo».
Assicurazioni che non convincono affatto l’Ordine dei giornalisti, né la Federazione della stampa, la cui giunta martedì 17 deciderà in una riunione straordinaria iniziative di lotta, compreso lo sciopero. L’Unione nazionale cronisti (Unci) ricorda che la Corte di Strasburgo ha già condannato «la pretesa di mandare in carcere i cronisti e tornerà a bocciare il ddl del governo». Dichiarazioni allarmate dei direttori dei principali tg e critiche dalla Fieg: non si possono punire giornalisti ed editori, mentre i veri responsabili sono coloro che consentono le fughe di notizie.
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