Scoperta, sulle tasse ci hanno imbrogliato

La Francia dice all'Europa che non ce la farà a stare nei parametri chiesti e Bruxelles dice che in fondo questa austerity non è così fiscale

Scoperta, sulle tasse ci hanno imbrogliato

Il rigore è un elastico: s'allunga e s'accorcia a seconda di chi lo tira. Va così: la Francia dice all'Europa che non ce la farà a stare nei parametri chiesti per i patti contabili di Bruxelles. E Bruxelles dice per la prima volta che in fondo tutta questa austerity imposta ai Paesi membri non è così fiscale. Il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha terrorizzato per anni i governi europei dicendo che chi sgarrava era fuori ma adesso tranquillizza tutti: «Se la crescita si deteriora in maniera imprevista, un Paese può beneficiare di rinvii per la correzione del deficit eccessivo».

Tecnicamente è una buona notizia. È come se l'Europa avesse tirato su la testa dai libri contabili e applicato una dottrina economica semplice e spesso vincente: in periodi di recessione troppa rigidità, troppo rigore, troppi vincoli non fanno altro che peggiorare la situazione. Era quello che chiedevano da tempo molti Paesi, compresa l'Italia che con il governo Berlusconi aveva già posto il problema all'Unione europea. Pareva un insulto, oggi invece è un colpo di genio. A Bruxelles c'è vita, adesso. L'uscita di Olli Rehn è la presa di coscienza tardiva che le istanze di alcuni governi non erano capricci, ma necessità: una piccola deregulation per far ripartire l'economia. Anche i tecnocrati si sono ravveduti e così hanno implicitamente sconfessato un anno e mezzo di politiche restrittive e soffocanti, hanno schiaffeggiato metaforicamente l'ossessione per il rigore di Mario Monti e di Angela Merkel. Questa è la buona notizia, appunto. Che nasconde ovviamente il suo lato negativo: il ritardo ha danneggiato noi.

Perché le manovre, le correzioni di bilancio, le regole da rispettare al millimetro si sono tramutate nell'oppressione fiscale nella quale viviamo da un anno a questa parte. Potevamo risparmiarcene un po', se solo Rehn e gli altri signori di Bruxelles avessero adottato tempo fa l'elasticità che applicano ora.
Il rigore da solo non paga. Bastava rileggere la storia per capirlo, invece hanno aspettato che un Paese grande e più centrale sforasse gli accordi e gli impegni: la Francia. Ieri il premier Jean Marc Ayrault ha certificato che Parigi non ce la farà a ridurre il deficit al 3% nel 2013 come previsto dai patti. In meno di un giorno il rigore Ue s'è improvvisamente smontato: più tempo? Si può. C'est la vie: più pesi, più ottieni. Peccato che l'altra vita sia la nostra: degli italiani, ma anche degli spagnoli, dei portoghesi, dei greci, cioè coloro con i quali l'atteggiamento dei burocrati europei è sempre stato duro.
Ecco, oggi è il nostro riscatto. Stiamo pagando le conseguenze di scelte (sbagliate) altrui, ma ci consoliamo parzialmente con la presa d'atto dell'errore dell'Europa.

C'è un giudice, da qualche parte. Qualcuno che storicamente, politicamente ed economicamente darà le responsabilità giuste a chi ha prolungato l'agonia di un Continente. Un'agonia dalla quale adesso non ci portano fuori né Olli Rehn, né Angela Merkel, né Mario Monti. La speranza per uscire dai guai, sempre che qualcuno non l'ammazzi prima, è ciò che sembra adesso l'Unione europea e l'America si siano decise a fare: un'area di libero scambio transatlantica. È la seconda buona notizia del giorno, e questa al momento non ha alcun retrogusto amaro: Washington e Bruxelles finalmente stanno pensando di liberalizzare il commercio tra loro. Cioè: niente barriere, niente dazi, niente divieti. Un unico mondo, occidentale, che contrasti l'avanzata galoppante della Cina e dei suoi fratelli asiatici. È la sveglia che suona, vivaddio.

La presa di coscienza collettiva che le crisi si superano all'opposto rispetto a quanto fecero dopo il crac del '29: allora i Paesi si chiusero a riccio, proteggendo ognuno se stesso. Il risultato fu la catastrofe. Quasi un secolo dopo si pensa di fare esattamente l'opposto: più libertà uguale più scambi, più commercio, più circolazione, più concorrenza, prezzi più bassi, più consumi, più sviluppo. Ci sono ostacoli e ci sono uomini che possono distruggere anche le idee migliori. Però se passasse, questo sarebbe l'accordo del secolo: l'America e l'Ocse stimano che da solo valga una crescita del Pil europeo fino all'1 per cento l'anno. Miliardi di risparmi per le aziende che esportano, quindi più risorse per creare lavoro e investimenti. Cioè la ripresa.

L'Economist scrive che è l'unica possibilità per l'Occidente di rimanere in concorrenza con l'Oriente. A metà del Settecento Adam Smith non poteva immaginare che cosa sarebbe stata la Cina del 2013, però sapeva che il libero scambio era la strada per la crescita. Forse ora l'hanno capito persino a Bruxelles.

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