Poi, all’improvviso, inopinatamente, la crisi si rivelò la tragedia che è e che era stata sottostimata, forse per eccesso di ottimismo, probabilmente minimizzata a bella posta per non aggravarla aggiungendo il terrore a tanti elementi negativi. È un’ipotesi benevola.Sta di fatto che eravamo nella melma fino al collo, ma Tremonti diceva che era solo una nostra impressione. E insisteva nella sua tesi: tutto bene, madama la marchesa. Talmente bene che fioccarono manovre imposte dalla Ue, cioè dalla Germania. Non bastarono. Perciò si giunse alla resa di Silvio Berlusconi, che si dimise sua sponte.
Irruppe sulla scena Mario Monti, salutato dalle sinistre quale liberatore e salvatore della Patria. Seguì un periodo definito «luna di miele»: 60 giorni di festeggiamenti a Palazzo Chigi e dintorni. Il nuovo premier fu acclamato e vezzeggiato dai media per il solo fatto di essere sobrio, avvolto nel loden, affiancato da una moglie con l’aria di essere una moglie come la nostra, un po’ sfiorita ma premurosa e riservata, per giunta utente del treno, ciò che dava alla famiglia Monti un tocco di normalità contrastante con le criticate costumanze berlusconiane. Il presidente frequentatore abituale di chiese, messa domenicale e roba del genere, fu sul punto di essere beatificato ancora prima di compiere i miracoli che da lui si attendevano. L’entusiasmo giunse al diapason quando lo spread scese per effetto del pompaggio di denaro effettuato dalla Bce.
L’Italia, ebbra di felicità, portò in trionfo i professori dell’esecutivo.I quali,sull’onda del successo,annunciarono la rivoluzione liberale non riuscita al suo ideatore: il Cavaliere. L’attesa dei provvedimenti fu trepidante. Ma quando vennero resi noti, si scoprì che erano bufale: banali ampliamenti delle piante organiche di tassisti e farmacisti. Questi ultimi addirittura equiparati, nel giudizio dei tecnici, ai padroni delle ferriere: ricconi abili nello sfruttamento di antichi privilegi corporativi. Per punirli adeguatamente, il ministro della Sanità decise: i titolari di farmacia a 65 anni usino la cortesia di passare la mano a sostituti che garantiscano una gestione corretta.
Come dire che uno a quell’età diventa rincoglionito per legge e quindi non può comandare in casa propria. Bella trovata. Democratica, soprattutto. Un manovale va in pensione, in base alle nuove norme Inps, a 67 anni, un farmacista a 65. Questo per dire in che mani siamo finiti. Vabbè.
Dopo sei mesi di governo professorale, un consuntivo è d’obbligo.E anche un raffronto con la situazione precedente. Allora. Lo spread, nonostante le iniezioni di liquidi della Banca centrale, è ballerino. La Borsa è un cronicario per azioni senza speranza di alzarsi dal letto di dolore. La disoccupazione è al massimo storico. La produzione è precipitata. Il Pil è crollato. L’unica cosa consolidata è la recessione. L’inflazione si è riaccesa. Il debito pubblico, lungi dall’essere calato, ha toccato un picco record. In compenso, la macchina fiscale è impazzita e stritola i redditi (di chi li denuncia fedelmente) e si limita a rosicchiare i lembi dell’evasione.
I carburanti, i più cari del mondo per via delle accise mostruose, sono in procinto di fare un ulteriore balzo all’insù. L’Imu, sostitutiva dell’Ici, minaccia di massacrarci: quanto dovremo pagare? Non si sa. Non lo dicono. Una sola certezza: il tributo sarà una follia, specialmente per chi, avendo investito i risparmi (tutti già tassati) nel mattone, possegga più di una casa. Già, la casa: non era un bene rifugio? Nossignori, è un bersaglio immobile facile da colpire. Talmente facile che i bocconiani lo centrano quasi con voluttà. Hai tre appartamenti? Crepa, capitalista schifoso.
Questi tecnici ci fanno rimpiangere Mariano Rumor? Forse non arriviamo a tanto, perché conosciamo il dramma della nostra economia sbranata dalla finanza internazionale, dissanguata dall’euro (di cui Monti è innamorato perso), mortificata dalla burocrazia interna e da quella, ancor più rigida, della Ue. Il disastro è aggravato dalla nostra impossibilità a reggere la concorrenza con altri Paesi, causa un costo del lavoro insostenibile, che appesantisce i bilanci aziendali, ma alleggerisce le tasche dei dipendenti, dalla cui busta paga si trattengono cifre da brivido. A proposito, che dire della riforma del lavoro sbandierata dall’esecutivo? Una clamorosa presa in giro.
Sarebbe ingiusto incolpare Mario Monti dello sfacelo. Lui, poveraccio, ha provato a porvi rimedio. Però si è scontrato con la realtà della politica e si è rotto le ossa. Come tutti coloro che si sono avvicendati negli ultimi quarant’anni a Palazzo Chigi.
Partiti obsoleti, istituzioni antiquate, una Costituzione da cavernicoli.
Il mondo è cambiato e cambia continuamente: l’Italia è immutabile,statica, paralitica. Un governo vale l’altro: zero.Questo articolo non è un’elegia funebre per Monti. È un invito ad accelerare la realizzazione dell’idea che probabilmente ha maturato: andarsene prima che lo buttino fuori.
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