Addio Monti e Tremonti battuti dal sistema Italia

Come èaccaduto all’ex ministro dell’Economia anche il presidente del Consiglio deve fare i conti con un Paese statico e istituzioni antiquate

Addio Monti e Tremonti battuti dal sistema Italia
Addio, Monti e Tre­monti, sorgenti dall’acque ed ele­vati al cielo... Ad­dio fiducia negli uomini di governo. Addio speranza che la barca venga raddriz­zata. Rassegniamoci all’evi­denza. Non è questione di uomini della provvi­denza né della pre­videnza: è il siste­ma che no­n fun­ziona e fa appa­rire inadeguato chiunque cer­chi di aggiustar­lo. Il ministro del­l’Economia che fino al­l’autunno scorso era in cari­ca, il professor Giulio, sem­brava un fenomeno capace di vedere nel futuro: calmo, riflessivo, rassicurante, ci aveva illusi di padroneggia­re il bilancio dello Stato. «La situazione è grave ma sotto controllo», diceva arrotan­do la erre. «L’Italia sta me­glio di altri Paesi europei, lo si evince da ogni dato stati­stico», precisava sicuro di sé, quindi persuasivo, tranquillizzante.

Poi, all’improvviso, inopinatamente, la crisi si rivelò la tragedia che è e che era stata sottostimata, forse per ecces­so di ottimismo, probabilmente minimizzata a bella po­sta per non aggravarla aggiungendo il terrore a tanti ele­menti negativi. È un’ipotesi benevola.Sta di fatto che era­vamo nella melma fino al collo, ma Tremonti diceva che era solo una nostra impressione. E insisteva nella sua tesi: tutto bene, madama la marchesa. Talmente bene che fioccarono manovre imposte dalla Ue, cioè dalla Germa­nia. Non bastarono. Perciò si giunse alla resa di Silvio Ber­lusconi, che si dimise sua sponte.

Irruppe sulla scena Mario Monti, salutato dalle sinistre quale liberatore e salvatore della Patria. Seguì un periodo definito «luna di miele»: 60 giorni di festeggiamenti a Pa­lazzo Chigi e dintorni. Il nuovo premier fu acclamato e vezzeggiato dai media per il solo fatto di essere sobrio, av­volto nel loden, affiancato da una moglie con l’aria di esse­re una moglie come la nostra, un po’ sfiorita ma premuro­sa e riservata, per giunta utente del treno, ciò che dava al­la famiglia Monti un tocco di normalità contrastante con le criticate costumanze berlusconiane. Il presidente fre­quentatore abituale di chiese, messa domenicale e roba del genere, fu sul punto di essere beatificato ancora pri­ma di compiere i miracoli che da lui si attendevano. L’en­tusiasmo giunse al diapason quando lo spread scese per effetto del pompaggio di denaro effettuato dalla Bce.

L’Italia, ebbra di felicità, portò in trionfo i professori dell’esecutivo.I quali,sull’onda del successo,annuncia­rono la rivoluzione liberale non riuscita al suo ideatore: il Cavaliere. L’attesa dei provvedimenti fu trepidante. Ma quando vennero resi noti, si scoprì che erano bufale: banali ampliamenti delle piante organiche di tassisti e farmacisti. Questi ultimi addirittura equiparati, nel giu­dizio dei tecnici, ai padroni delle ferriere: ricconi abili nello sfruttamento di antichi privilegi corporativi. Per punirli adeguatamente, il ministro della Sanità decise: i titolari di farmacia a 65 anni usino la cortesia di passare la mano a sostituti che garantiscano una gestione corret­ta.

Come dire che uno a quell’età diventa rincoglionito per legge e quindi non può comandare in casa propria. Bella trovata. Democratica, soprattutto. Un manovale va in pensione, in base alle nuove norme Inps, a 67 anni, un farmacista a 65. Questo per dire in che mani siamo fi­niti. Vabbè.

Dopo sei mesi di governo professorale, un consuntivo è d’obbligo.E anche un raffronto con la situazione prece­dente. Allora. Lo spread, nonostante le iniezioni di liqui­di della Banca centrale, è ballerino. La Borsa è un cronica­rio per azioni senza speranza di alzarsi dal letto di dolore. La disoccupazione è al massimo storico. La produzione è precipitata. Il Pil è crollato. L’unica cosa consolidata è la recessione. L’inflazione si è riaccesa. Il debito pubblico, lungi dall’essere calato, ha toccato un picco record. In compenso, la macchina fiscale è impazzita e stritola i red­diti (di chi li denuncia fedelmente) e si limita a rosicchia­re i lembi dell’evasione.

I carburanti, i più cari del mondo per via delle accise mostruose, sono in pro­cinto di fare un ulteriore balzo all’insù. L’Imu, sostitutiva dell’Ici, minaccia di massacrarci: quanto dovremo paga­re? Non si sa. Non lo dicono. Una sola certezza: il tributo sarà una follia, spe­cialmente per chi, avendo investito i ri­sparmi (tutti già tassati) nel mattone, possegga più di una casa. Già, la casa: non era un bene rifugio? Nossignori, è un bersaglio immobile facile da colpi­re. Talmente facile che i bocconiani lo centrano quasi con voluttà. Hai tre ap­partamenti? Crepa, capitalista schifo­so.

Questi tecnici ci fanno rimpiangere Mariano Rumor? Forse non arriviamo a tanto, perché conosciamo il dramma della nostra economia sbranata dalla finanza internazio­nale, dissanguata dall’euro (di cui Monti è innamorato perso), mortificata dalla burocrazia interna e da quella, ancor più rigida, della Ue. Il disastro è aggravato dalla no­stra impossibilità a reggere la concorrenza con altri Pae­si, causa un costo del lavoro insostenibile, che appesanti­sce i bilanci aziendali, ma alleggerisce le tasche dei dipen­denti, dalla cui busta paga si trattengono cifre da brivido. A proposito, che dire della riforma del lavoro sbandierata dall’esecutivo? Una clamorosa presa in giro.

Sarebbe ingiusto incolpare Mario Monti dello sfacelo. Lui, poveraccio, ha provato a porvi rimedio. Però si è scon­trato con la realtà della politica e si è rotto le ossa. Come tutti coloro che si sono avvicendati negli ultimi qua­rant’anni a Palazzo Chigi.

Partiti obsoleti, istituzioni anti­quate, una Costituzione da cavernicoli.

Il mondo è cam­biato e cambia continuamente: l’Italia è immutabile,sta­tica, paralitica. Un governo vale l’altro: zero.

Questo articolo non è un’elegia funebre per Monti. È un invito ad accelerare la realizzazione dell’idea che pro­babilmente ha maturato: andarsene prima che lo buttino fuori.

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