Gli ambientalisti "woke" ora scendono in piazza per protestare contro il patriarcato "estrattivista"

All’evento di Roma slogan pro Pal, Lgbt e antiproibizionisti

Gli ambientalisti "woke" ora scendono in piazza per protestare contro il patriarcato "estrattivista"
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Carri, tamburi, maschere e riferimenti alla Palestina: è andato in scena ieri a Roma il Climate Pride. Una parata annunciata come manifestazione per la giustizia climatica - con più di 80 associazioni promotrici - ma che ha visto sfilare un universo politico che col clima ha un rapporto sempre più laterale. Niente di nuovo, già prima dell’evento le intenzioni sembravano chiare: ribadire l’identità di un mondo militante che mette tutto dentro lo stesso calderone ideologico.
«Questo è il momento di dimostrare che ci importa del clima, che è una nostra priorità - recitava un video promozionale dell’evento sui social da parte di un’attivista di Extinction Rebellion - che non sottostaremo al patriarcato estrattivista e coloniale ma che ci uniremo a una transizione giusta, dal basso, eco-transfemminista».
«Eco-transfemminista». «Patriarcato estrattivista». A questo punto la domanda non è più ironica, ma necessaria: che cosa c’entra il clima con il transfemminismo? E, soprattutto, che cosa c’entra il patriarcato con l’innalzamento delle temperature? La CO2 ora è maschilista? Lo scioglimento dei ghiacciai è un atto coloniale? Il metano è patriarcale? È qui che si rivela il cuore del Climate Pride: non una manifestazione sul clima, ma l’ennesimo rito woke, in cui il cambiamento climatico è il pretesto narrativo per mettere dentro tutto ciò che compone l’immaginario della sinistra militante contemporanea. Del resto è la scuola Francesca Albanese, quella del grido «uniamo le lotte contro un nemico unico».
Un’ideologia che non riesce più a distinguere le lotte e preferisce fonderle, come se diritti Lgbtq, anticapitalismo, Palestina e cannabis legale fossero tasselli di un’unica, misteriosa, equazione politica. Il corteo lo racconta da sé: gruppi Propal con i loro ulivi e simboli climatici, ma anche gli antiproibizionisti della Million Marijuana March che reclamano a gran voce la legalizzazione della cannabis. Tutto insieme, senza ordine né gerarchia, come se metterlo sullo stesso carro potesse magicamente rendere tutto coerente. Ogni gruppo sembra pronto a usare la crisi climatica come una cornice per la propria battaglia politica, appiccicando la propria identità al tema ambientale come fosse un adesivo. Il Climate Pride non è una manifestazione sul clima: è un palcoscenico ideologico, un enorme show strumentale, un unico contenitore politico dove la causa originale, la crisi climatica, scompare sacrificata sull’altare ideologico. Un grande teatro della sinistra woke, che applaude sé stessa e celebra la propria visibilità più che qualsiasi risultato concreto.


La manifestazione non informa, non mobilita, non cambia nulla: esibisce identità, mescola cause, fonde battaglie e riduce tutto a un gioco di simboli. Una grande parata di vanità ideologica travestita da impegno politico, dove tutto ciò che resta è solo esibizionismo.

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