Politica

Arrestata la zarina rossa: tira brutta aria in casa Pd

La chiamavano la zarina di D'Alema. E questa immagine descriveva il suo potere e la sua collocazione dentro il perimetro inquieto del Pd. Oggi il partito è in grande imbarazzo: Maria Rita Lorenzetti è agli arresti domiciliari nell'inchiesta della procura di Firenze sulla Tav toscana. Un'indagine che già aveva bussato alla sua porta nel gennaio scorso, quando all'ex presidente della regione Umbria era stato consegnato un avviso di garanzia per associazione a delinquere, corruzione e abuso d'ufficio. Ora però gli investigatori tornano alla carica ipotizzando che la Lorenzetti sia sempre al centro di trame oblique: ci sarebbe un pericolo concreto e attuale di nuovi reati. Dunque, la signora è stata blindata in casa, a Foligno. Nel blitz sei persone sono state poste agli arresti domiciliari e ad altre cinque sono state notificate misure interdittive.
La Lorenzetti è stata sindaco di Foligno dall'84, poi dal'87 deputato, quindi per dieci anni governatrice dell'Umbria, una delle regioni più rosse d'Italia. Nel 2011 era approdata alla presidenza dell'Italferr, società di progettazione delle Ferrovie dello stato, L'incarico (che lascerà oggi) le era stato affidato formalmente dal governo Berlusconi, ma a lanciarla erano stati Massimo D'Alema, suo grande sponsor legato a Foligno anche dall'amore per l'enologia, e l'amministratore delegato delle Fs Mauro Moretti. E proprio l'incarico nell'Alta velocità le è stato fatale: per la procura esisterebbe una sorta di banda criminale, composta da 31 persone, con i tentacoli dentro i ministeri, le coop e le Ferrovie. Lorenzetti farebbe parte di questo sodalizio e nello specifico si sarebbe occupata di favorire due coop, Novadia e Coopsette, ricevendo in cambio consulenze per il marito architetto nella ricostruzione post terremoto in Emilia Romagna.
Di più, per la procura la zarina avrebbe utilizzato almeno tre lati del suo prestigioso curriculum per favorire la rete criminale: «Come presidente dell'Italferr e grazie alle entrature politiche» come ex presidente della regione Umbria e membro della direzione nazionale del Pd perseguiva «tre obiettivi precisi di comune interesse che diventano per ciò stesso le finalità dell'organizzazione criminale». Il tutto in occasione della realizzazione del tunnel dell'Alta velocità sotto Firenze. L'ex numero uno della Regione Umbria avrebbe truccato le carte di questo importantissimo appalto, cercando di definire l'opera «in deroga alla disciplina sui rifiuti»; e poi ottenendo una «maggiorazione delle spettanze economiche» riconosciute alle coop «per centinaia di milioni». Lorenzetti - aggiunge il giudice - «si è molto impegnata per l'emanazione del decreto sulle terre» di scavo del tunnel e «ha seguito tutte le fasi della sua approvazione influendo in ogni modo per la sua conclusione favorevole».
Per il magistrato non ci sono dubbi: «Soprattutto la Lorenzetti, con espressioni esplicite e intenti manifesti, fa chiaramente il gioco del general contractor, Nodavia, e del socio di maggioranza Coopsette che giuridicamente dovrebbe essere la sua controparte contrattuale a cui far arrivare il massimo del profitto possibile con totale pregiudizio del pubblico interesse». Dunque, l'ex governatrice avrebbe violato le leggi per favorire le imprese amiche che a loro volta avrebbero contraccambiato, affidando alcuni lavori al marito architetto. Ipotesi che la zarina respinge, affidando la sua replica all'avvocato Luciano Ghirga: «Che cosa ho fatto di così grave?».

Non solo: per Ghirga il marito «non ha avuto alcun tornaconto per l'attività della moglie».

Commenti