«Metterò tutti davanti alle loro responsabilità. Perché non è accettabile che Napolitano e Letta pensino di lavarsene le mani». Ufficialmente Silvio Berlusconi continua a non esporsi e - salvo un breve post su Facebook - si guarda bene dal dire la sua sia sulla questione della decadenza sia sulla querelle in corso con il Quirinale. In privato, invece, i toni sono decisamente tranchant con un Cavaliere sempre più deciso a non restare fermo a guardare. Tanto da ripetere a diversi interlocutori che se davvero Giorgio Napolitano ed Enrico Letta resteranno «immobili» sarà lui allora a sollevare il caso portando la questione giustizia al centro del dibattito. Nessuna richiesta di grazia, dunque. E soprattutto nessuna intenzione di dimettersi da senatore prima del voto dell'aula. Se davvero prima la giunta e poi Palazzo Madama arriverà a pronunciarsi sulla sua decadenza Berlusconi è pronto a dare battaglia: con un durissimo intervento sulla magistratura da tenere in aula, ma soprattutto mettendo la questione giustizia al centro del dibattito politico in una sorta di campagna elettorale permanente (perché, anche se non ci saranno crisi di governo e voto anticipato, a maggio ci sono comunque le elezioni europee).
Un Cavaliere che in queste ore viene descritto «più falco dei falchi», pronto allo scontro frontale come mai prima. Con chi ha occasione di vederlo ad Arcore o sentirlo al telefono, infatti, l'ex premier è durissimo. Su Napolitano che, «quando si è trattato di sistemare le sue cose non ha perso tempo». E su Letta, perché sostenere che il voto del Pd sulla decadenza è «una semplice presa d'atto della legge Severino e non un atto politico è semplicemente ridicolo». Insomma, «è finito il tempo dell'ipocrisia». E il Quirinale - che delle larghe intese è non solo fautore ma anche garante - deve assumersi le sue responsabilità.
Così, dopo alcuni giorni di sordina, sono ormai 48 ore che molti big del Pdl sparano sul Colle e su Palazzo Chigi. Segno che da Arcore è stato tolto il silenziatore e che siamo all'affondo. D'altra parte, la giunta per le elezioni del Senato si riunisce il 9 settembre e l'obiettivo non è solo allungare i tempi ma soprattutto contestare l'applicazione della legge Severino (l'unico del Pdl a votare contro fu Luca D'Alessandro) che sancirebbe la decadenza di Berlusconi da senatore. D'altra parte è una tesi che sostengono diversi giuristi e non solo quelli di area. È per questa ragione che Mariastella Gelmini invita Napolitano a «misurarsi ancora con la situazione» invitando a «una profonda riflessione» sulla costituzionalità della Severino.
Chi non sembra immaginare molti spazi di manovra, invece, è Daniela Santanchè che affonda sul Quirinale colpi durissimi. La nota di Napolitano, dice, «è irricevibile» e «drammatica per la democrazia» perché «tra le righe c'è scritto che deve dimettersi da senatore». E lascia intendere che se il Pd voterà a favore della decadenza del Cavaliere i ministri del Pdl sono pronti a dimettersi. D'altra parte, anche il fatto che Letta non si esponga sulla vicenda ad Arcore non sta passando inosservato. Perché, spiega Augusto Minzolini, «la storia insegna» e «pure il governo di Giuliano Amato fece finta fino all'ultimo di essere dalla parte di Bettino Craxi».
Berlusconi, per il momento, si limita a poche battute su Facebook. «Io resisto. Non mollo. Non mi faccio da parte. Resto io il capo del centrodestra», promette. E intanto ragiona su come impostare la campagna sulla giustizia che ha intenzione di fare. Con l'aiuto di un libro scritto nel 2006 da Fabrizio Cicchitto, L'uso politico della giustizia. Ne è rimasto affascinato e ha chiesto al diretto interessato degli approfondimenti.
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