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Bersani per coprire i suoi guai trova sempre la parola magica

Greganti e Penati erano i "compagni che sbagliano". Ora sul caso Mps il segretario sfodera il termine "localismo". L'importante è camuffare le responsabilità del partito

Bersani per coprire i suoi guai trova sempre la parola magica

Il Pd romano - e guai a sostenere il contrario, sennò Bersani ci sbrana - non c'entra nulla con la gestione avventurosa e criminale del Monte dei Paschi. Ma il Pd senese, quantomeno perché nomina la maggioranza dei consiglieri della Fondazione che, a sua volta, controlla la banca, qualche responsabilità deve pur averla: e su questo punto persino Bersani è disposto ad ammettere la verità. Purché però sia chiaro che le scelte del partito locale non hanno nessun rapporto con quelle nazionali, che il fenomeno è talmente circoscritto da non meritare altro che una bonaria pacca sulla spalla, e che in ogni caso a Roma nessuno ne sapeva niente.

La parola magica scelta da Bersani per camuffare le responsabilità del Pd si chiama «localismo», e può considerarsi a tutti gli effetti la versione geopolitica dei «compagni che sbagliano» - come qualcuno diceva ai tempi delle Br - o, per venire a tempi più recenti, dell'«a mia insaputa» sbandierato da Scajola per giustificare l'acquisto a buon prezzo di un appartamento con vista sul Colosseo.

Sentiamo Bersani: «Noi lì a Siena abbiamo avuto un limite serio, che si può chiamare “eccesso di localismo” - ha sostenuto il segretario del Pd lunedì scorso a Piazzapulita - perché i partiti, il Comune, la Provincia, la Curia, l'Università, insomma tutto è stato legato a un meccanismo localistico che ha pensato di interpretare la possibilità di gestire da quel luogo una banca di proporzioni nazionali». La tesi difensiva deve essergli piaciuta, perché Bersani l'ha ripetuta ai microfoni di Radio anch'io: «Nella vicenda bancaria non c'entra nulla il Pd. Tutti quanti hanno peccato di localismo, questo sì, cioè hanno pensato che quella Fondazione dovesse mantenere il controllo del Monte».
Think global, act local è il motto dell'ambientalismo mondiale, e in genere dell'attivismo civico nelle sue varie manifestazioni: bisogna cioè avere una visione globale dei problemi e, contemporaneamente, impegnarsi nel luogo in cui si vive o si lavora. Bersani sembra rispolverare a proprio uso questo concetto, naturalmente dimenticandosi della sua prima parte: localmente il Pd ha compiuto qualche guaio, ma globalmente è innocente.

È una tesi che la sinistra, abituata a considerarsi la parte sana del Paese, usa regolarmente quando le cronache rischiano di metterla in imbarazzo. Se per gli avversari vale la certezza che, qualunque cosa sia accaduta nella più remota parte d'Italia, il leader di turno «non può non sapere» - è stato così con Craxi, è regolarmente così con Berlusconi - per se stessi vige invece il principio opposto. Quando qualcuno del Pd combina un guaio, si tratta di un fenomeno isolato. Di una mela marcia. Di un caso «localistico».

Era «localismo» anche quello di Filippo Penati, per anni sindaco di Sesto San Giovanni e poi presidente della Provincia di Milano prima di diventare il coordinatore della segreteria di Bersani, vale a dire il suo braccio destro: ma nulla di ciò che viene imputato a Penati oltrepassa, secondo le anime belle del Pd, i confini dell'hinterland milanese. Era «localismo» lo scandalo della sanità in Puglia che ha portato alla richiesta d'arresto per l'ex assessore Alberto Tedesco (poi eletto senatore) e all'incriminazione dell'ex vicepresidente della Regione Sandro Frisullo, ma che ha lasciato miracolosamente immune il governatore Vendola (qui il localismo vale addirittura per i singoli uffici della giunta, ciascuno dei quali ignorava ciò che faceva l'altro).

Su questa linea però - che è poi la linea del mitico «compagno G.», quel Primo Greganti che negli anni di Tangentopoli mantenne un rigoroso silenzio e che il partito circoscrisse a caso personale - la sinistra rischia di perdere credibilità e consensi a tutto vantaggio degli Ingroia e dei Grillo. Pretendere infatti di essere «diversi» senza esserlo, condannare un giorno sì e l'altro pure le malefatte dell'avversario minimizzando le proprie, e insomma smoraleggiare senza averne i requisiti minimi può sul momento tamponare la falla, ma nel medio periodo rischia di provocare un cortocircuito. Il punto infatti non è che qualche esponente del Pd finisca nei guai (può capitare a tutti), ma che il partito ogni volta neghi le proprie responsabilità con la stessa alacrità e fermezza con cui alza l'indice accusatore contro gli altri.

Prima o poi qualcuno si accorge dell'imbroglio.

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