Bersani spiazzato vuole subito le urne

Il segretario difende la scelta del premier: «Atto di dignità» E tesse la tela per allearsi con l’Udc, ma Vendola non ci sta

Pier Luigi Bersani alla Camera durante il voto di fiducia del decreto legge sui costi della politica
Pier Luigi Bersani alla Camera durante il voto di fiducia del decreto legge sui costi della politica

Alla fine il Pd si ritrova spiazzato, unica colonna di una maggioranza che non c'è più. Monti si sfila e chiude la stagione del governo tecnico. Bersani diventa di fatto «montiano» e commenta la notizia in fretta: «Di fronte alla irresponsabilità della destra che ha tradito l'impegno assunto un anno fa davanti al Paese, aprendo di fatto la campagna elettorale, il presidente Monti ha risposto con un atto di dignità che rispettiamo profondamente». Per Bersani quello di Monti è un favore fatto al Pd. Ora il compito del segretario sarà tessere la nuova mappa di alleanze, con un sistema politico che schiaccia il centro di Casini.
Solo che i rapporti con Casini e compagni rischiano di destabilizzare il patto delle sinistre. Il «Centro» resta un oggetto misterioso, il suo destino è indefinito, ma riesce lo stesso a mettere zizzania a sinistra. Un pezzo del Pd corteggia Casini, facendo andare su tutte le furie Sel. Intanto Bersani fa e rifà i conti per capire quanti voti gli può portare l'Udc e quanti può fargliene perdere, con in testa il rebus dei premi regionali del Senato, mentre scatena i suoi a premere sul Quirinale per una data più ravvicinata del voto. Sull'alleanza elettorale si ragiona, ma le condizioni poste dal Pd sono pesanti: niente simbolo Udc, occorre mascherare l'operazione dietro una nuova sigla. Niente facce impresentabili per la sinistra, da Cesa a Buttiglione (che però in molti casi sono anche i portatori di voti), e niente post-fascisti, da Fini in giù. Tanto che i più maligni interpretavano le lodi a Della Vedova, tessute in Aula da Casini nel dibattito di venerdì alla Camera, come un segnale a Fini: un giovane liberaldemocratico come Della Vedova possiamo prendercelo, Bocchino no.

Ieri Enrico Letta, vicesegretario del Pd, ha aperto le braccia al «centro montiano», perché il ritorno di Berlusconi «ci riavvicina». E «non ho dubbi che faremo un governo insieme alle forze che sostengono Monti oggi. Se avverrà con un'alleanza con liste apparentate ora, o con un accordo dopo il voto, è da valutare».
Immediato l'intervento stizzito di Sel, che attraverso Gennaro Migliore ha subito sbarrato la strada: «Letta sta giocando per perdere le elezioni? L'intesa con Monti è impraticabile, così come un'alleanza con l'Udc». Ma c'è qualcuno che ha il dente ancor più avvelenato di Sel coi centristi, e - a sorpresa - è Bruno Tabacci. Che dalle colonne dell'Unità sbarra le porte del centrosinistra a Casini: «Le alleanze sono già definite», tuona, assicurando che «questa coalizione può governare anche con il Porcellum», ossia che non c'è bisogno di altri apporti per vincere anche al Senato. Le primarie, spiega, hanno ormai definito i confini dell'alleanza: «Io ho fatto la mia parte. Perché Casini non era al mio posto? Lo chieda a lui». Insomma, Tabacci non ha alcuna intenzione di cedere il proprio sudatissimo spazietto elettorale sotto l'ombrello Pd.

Lo stesso malessere, peraltro, lo cova una fetta di ex Dc dentro il Pd, da Fioroni a Bindi, che vedono a rischio il proprio potere contrattuale interno. Ma Bersani è alle prese anche con il problema delle candidature. Se resta il Porcellum, aveva promesso, si faranno le primarie. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi.

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