
Il destino del ceto medio: bersaglio della propaganda in quanto bacino elettorale assai rilevante; bersaglio delle tasse non appena finisce la propaganda; bersaglio perenne degli intellettuali, che ne disapprovano lo spirito conservatore.
Il ceto medio, in un certo senso, ha unito la destra e la sinistra. I socialisti amavano il proletariato e detestavano i borghesi, ma anche i fascisti non hanno fatto mancare il loro disprezzo. Nella retorica del regime era riservato un ampio spazio alle accuse di immobilismo nei confronti del ceto medio. Non dimentichiamo che il fascismo si presentò come fenomeno rivoluzionario. I casi, in letteratura, di questo atteggiamento si sprecano. Elio Vittorini diede un grande contributo con i racconti di Piccola borghesia (appunto) e con Il Garofano rosso, inno allo squadrismo anti-borghese, prima di essere tempestivamente corretto e trasformato senza troppa fatica in inno al socialismo. Anche Gli indifferenti di Alberto Moravia si può leggere in questa chiave, nonostante il romanzo sia stato preso come esempio di dissenso verso il regime. Nel dopoguerra il ceto medio rientrò nel mirino degli intellettuali di sinistra. Il borghese è il nemico di classe per operai, studenti e per i loro leader con o senza cattedra universitaria. Dopo la parentesi di Luigi Einaudi, una boccata di
liberalismo, scocca l'ora dei catto-comunisti e degli eredi di Togliatti. Inutile fare un elenco. Il ceto medio è accusato letteralmente di tutti i mali della società. Si fa prima a indicare i pochi libri in difesa del borghese, piccolo e grande. Ecco tre esempi. In Italia brilla Straborghese di Sergio Ricossa, un capolavoro di umorismo e un durissimo atto d'accusa verso chi trascina l'Italia nel gorgo del dirigismo assistenzialista. Nell'accettare questa condizione, la borghesia ha compiuto il suo unico ma gravissimo errore. In Europa c'è La natura precaria della libertà. Elogio della borghesia di Joachim Fest. Lo storico esalta l'individualismo e mette in relazione la sopravvivenza della democrazia con la sopravvivenza della borghesia. Negli Stati Uniti, possiamo citare Tom Wolfe e la sua Bestia umana. Il grande giornalista riassume così il problema dell'odio degli intellettuali verso la classe media: «Cosa vogliono ottenere esattamente gli intellettuali dalle loro acrobazie mentali marxiste e rococò? Forse un cambiamento, il cambiamento per tutti i paraproletari di cui si proclamano i benefattori ideologici? Naturalmente no. Un vero cambiamento comporta fatiche e lavoro. E allora che cosa vogliono? In realtà, è una cosa semplicissima. Non chiedono altro che di restare lassù, distaccati, come ha detto Revel, dalla folla, i filistei, la classe media».
L'alleanza tra sinistra e grande capitale pareva impossibile. Eppure è un avvenimento che abbiamo
sotto i nostri occhi, in questo preciso momento. La sinistra ha rinunciato alla rivoluzione economica e ha sposato la causa dei diritti. In nome del progresso deve sparire il ceto medio legato a istituzioni «lente» come la famiglia e la Chiesa. La grande industria, fusione dopo fusione, non può più sopportare l'inefficienza del mercato. In nome del progresso deve sparire il ceto medio legato alle piccole imprese, all'artigianato, alla coltivazione dei campi. Il nemico del mio nemico è il mio amico... Ah, se poi fosse possibile ottenere un modello medio di uomo-consumatore, che desidera le stesse cose in tutto il mondo, sarebbe il massimo. In nome dell'uguaglianza, si intende.
Resta aperto il capitolo delle complicità non sempre involontarie della classe media, della borghesia piccola e grande: si è adagiata nello statalismo.
Pensava di rosicchiare qualche centesimo e non ha capito di essersi consegnata, in questo modo, a una pressione fiscale disastrosa. Ha rinunciato a fare cultura, appaltandola a un sistema parassitario in mano alla sinistra. Bella scemenza: ha finanziato profumatamente i suoi nemici.