Il corto circuito mediatico giudiziario si ripete nonostante le riforme, nonostante anni di dibattiti, campagne di sensibilizzazione e provvedimenti delle singole procure per contenere le fughe di notizie.
L’indignazione del sindaco di Milano Beppe Sala, dell’aver appreso di essere indagato dai giornali, e non dai magistrati, suona come una presa d’atto. Una sorta di rassegnazione rispetto a una dinamica che non può però essere scaricata solo sui giornalisti. Che se hanno una notizia di interesse pubblico, valutate tutte le implicazioni del caso, la danno. Va detto poi che la frequenza con cui accade non è più quella di un ventennio fa, e già questo potrebbe essere considerato un parziale risultato. Così come ha dato i suoi frutti la stretta alle intercettazioni non rilevanti, le quali con la riforma Orlando, e ancor più con quella Nordio, non finiscono più sui giornali con le vite e i dettagli personali di terze persone non indagate.
Il cambiamento più netto con l’ultima riforma del Guardasigilli, sta però nell’introduzione del filtro delle richieste di arresto. Gli indagati non si trovano più in carcere da un giorno all’altro, ma vengono prima sentiti dal gip che decide dopo averli interrogati.
Vengono invece pubblicate, nonostante i grossi limiti imposti dalla riforma, le intercettazioni di conversazioni contenute nelle ordinanze. Come lo è, in questa indagine milanese, il messaggio a Sala estrapolato dalla guardia di Finanza nello smartphone sequestrato all’archistar Stefano Boeri. «I toni di Boeri nei confronti del sindaco sono molto risoluti e di comando - annotano gli inquirenti - e Boeri chiude il messaggio a Sala scrivendo: “Prendilo come warning per domani”». Viene considerata rilevante anche la risposta del sindaco: «Mi dicono che non è solo il presidente (l’ex presidente della commissione Paesaggio Marinoni, ndr). So quello che mi riferiscono. E devo fidarmi del giudizio di Giancarlo (Tancredi, ndr). Domani mattina comunque rivedo con calma».
La riforma Nordio vieta alla polizia giudiziaria la trascrizione dei dialoghi non rilevanti, e vieta addirittura ai giornalisti di pubblicare in modo letterale quelle contenute nelle ordinanze, e dunque rilevanti.
Il padre della norma, Enrico Costa, proprio sul filone dell’inchiesta milanese che qualche mese fa aveva portato ai domiciliari l’ex direttore dello sportello unico edilizia di Milano, aveva presentato un’interrogazione al ministro, lamentando «la pubblicazione di stralci testuali di ordinanze di custodia cautelare, ivi compreso il contenuto letterale di intercettazioni telefoniche». Secondo la legge i giornalisti che lo fanno dovrebbero addirittura essere esposti a procedimenti penali. Ma rimedi estremi, rischiano di essere del tutto inefficaci.