Avevamo appena finito di scrivere che Elsa Fornero cominciava a piacerci, dato che mostrava carattere e non si piegavaallapretesadeisindacatidi dire l’ultima parola su tutto, e già siamo pentiti. Non perché sia stata contestata sabato a Torino da giovanotti fuori di testa, lanciatori di uova e organizzatori di tafferugli. Anzi. Per questo saremmo portati a difenderla. Gli scalmanati non ci sono mai andati a genio: non risolvono i problemi e semmai li aggravano o ne ritardano l’eventuale soluzione. Del ministro del Lavoro ci irritano i toni da maestrina, le lezioni di vita e di comportamento.
Che titoli ha la signora per insegnarci a stare al mondo quando è lei la prima a non saperci stare? La fronte corrugata e il ditino alzato (non una minaccia, ma quasi), si è permessa di lanciare un monito impertinente alle famiglie: «Prima di preoccuparvi della casa, provvedete ad assicurare una laurea ai vostri figli». Una doppia sciocchezza. Una cosa infatti non esclude l’altra. L’università poi non è l’alternativa dell’alloggio. Una persona, magari a malincuore, rinuncia al diploma o al diplomino triennale, ma non può fare a meno dell’appartamento. Non è carino abitare al dormitorio pubblico, ammesso che vi si trovi posto, né pernottare in una tenda canadese ai giardini pubblici. Strano che la Fornero (insisto con l’articolo determinativo femminile davanti al cognome) non abbia pensato che un quartierino quale fissa dimora sia indispensabile a qualunque cittadino, dottore, geometra o idraulico.
La maggior pare degli italiani avrebbe evitato volentieri di acquistare un immobile, gravandosi di mutui dalle rate asfissianti. Lo ha fatto perché non aveva scelta, visto che gli affitti di mercato sono insostenibili per chiunque campi di stipendio normale, quindi esiguo. Se i governi da trent’anni non avessero smesso di costruire condomini popolari a pigione agevolata, a nessuno sarebbe venuto in mente di indebitarsi per comprare un trilocale. Si dà, viceversa, il caso che le abitazioni degli enti, specialmente quelle di buon livello, siano state riservate a inquilini di riguardo, i soliti raccomandati (politici, sindacalisti, burocrati ecc.), cioè coloro che non avrebbero difficoltà a pagare fitti normali.
Ma questi dettagli volgari forse non sono a conoscenza della signora Elsa, la quale pertanto ha parlato e parla senza cognizione di causa. Strano però, essendo docente, che ignori anche quanto è attinente alla sua professione: oggi, per effetto dell’istruzione di massa, 80 lauree su 100 servono a chi le ha conseguite solamente per abbellire il biglietto da visita col titolo di dottore. Per trovare un lavoro sono inutili, perché non garantiscono una preparazione tecnico professionale. O il pezzo di carta certifica l’acquisizione di nozioni serie allo scopo di intraprendere un’attività richiesta sul mercato di lavoro oppure è un pezzo di carta e basta, destinato a rimanere chiuso in un cassetto.
I dottori in scienze politiche, scienze sociali, scienza della comunicazione e roba del genere (per esempio giurisprudenza: sono più numerosi gli avvocati degli imputati) hanno prospettive assai ristrette e saranno costretti a fare mestieri per i quali i loro studi sono ininfluenti. Questa è la realtà e la Fornero dovrebbe conoscerla. Il valore legale dei titoli, di cui si discute con fervore nella presente congiuntura, di fatto non ha più senso tranne per chi intenda partecipare a concorsi pubblici che però sono sempre più rari, perché gli organici dello Stato e degli enti locali sono pletorici, da sfoltire e non da integrare.
Ciò non toglie che la laurea sia ambita, mitizzata, al punto che vanno a ruba anche quelle false, a pagamento.
In altri Paesi più liberali del nostro non conta il diploma in sé ma l’autorevolezza e il prestigio dell’ateneo che lo ha rilasciato. L’Italia è piena zeppa di università prive di spessore: sono diplomifici, fabbriche di illusioni e stipendifici per personaggi con poca arte e senza parte. Perché il governo non le chiude? Non avremo risposte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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