«Caro Uomo ti scrivo, così ci chiariamo un po'».
Ecco, allora, devo dirti, innanzitutto, che non credo fino in fondo all'idea delle Nazioni Unite per la quale la violenza degli uomini sulle donne si fonda sulla permanente discriminazione. Secondo questa teoria l'uomo vuole colpire, abbattere, uccidere la donna in quanto donna. Per questo motivo, i delitti e le persecuzioni che ne originano vengono definiti «femminicidi», o «femmicidi», così, secondo me, proponendo una (...)
(...) prospettiva diagnostica deformata e allontanando la soluzione del grave problema. Tu lo sai bene, Uomo, infatti, che le tue esplosioni di violenza non sono connesse all'identità di genere dell'altra, al tuo essere misogino, all'obiettivo di far prevalere la virilità sulla femminilità. Antropologi, criminologi e studiosi del diritto dibattono su questo argomento, sostenendo persino che «l'accettazione» di questa violenza di genere, nelle società ancora patriarcali, è in grado di annullare la libertà della donna e la sua identità sociale relegandola così ai margini della vita pubblica, grazie anche al disinteresse e all'inefficienza delle istituzioni nell'attività di repressione delle micro e macro violenze.
Non c'è dubbio che il controllare, perseguitare, maltrattare, schiavizzare, uccidere una donna integrino la violazione dei diritti e delle libertà che costituiscono patrimonio indiscutibile di ogni persona in ogni paese giuridicamente civile. Ma la violazione dei diritti umani sulle donne avviene in situazioni apparentemente affettive, nelle loro case e per mano di persone conosciute. Sono dunque violenze domestiche a danno di mogli, fidanzate, conviventi, ex, figlie. Sono violenze stimolate non dall'essere femmina, ma dal ruolo ricoperto, attuale o pregresso, che coinvolge quell'uomo e quella donna. Sono amoricidi di amori male interpretati e malvissuti; sono espressioni di possessività esasperata, di narcisismo anaffettivo, di invidia e di orgoglio malato. Sono il prodotto deteriore della crisi della famiglia e dell'ossessione ideologica della coppia sempiterna. Rappresentano l'effetto nefasto della competizione tra uomo e donna; non perché tu, Uomo, disprezzi il genere femminile in quanto tale, ma perché la tua compagna si è permessa, come giuridicamente le è consentito, di scegliere di decidere se contrastarti, subirti o lasciarti. Tu lo sai bene, Uomo, che dal 1948 la Costituzione ha decretato la pari dignità giuridica dei sessi e dal 1975 è stata introdotta anche nel matrimonio; sei consapevole del diritto alla separazione; non ti è sfuggito il senso dell'obbligo di solidarietà coniugale e genitoriale. Tuttavia, da partner di quella donna, continui a pensare che ciò che ti appartiene (e sei convinto, persino in buonafede, che tua moglie e i tuoi figli ti appartengano) debba rispondere a una legge, che non è quella maschile, bensì la tua personalissima legge di Uomo inutile e viziato. Quella, per esempio, che ti autorizza ad abbandonare la famiglia quando lo decidi tu e a massacrarla quando non ne puoi più. Gli uomini come te, e ce ne sono tanti, dovrebbero essere evitati dalle donne che, invece, se ne innamorano credendo che siano veri maschi. Scrive Khaled Hosseini in E l'eco rispose (edizioni Piemme): «Ma in realtà sono tutti ragazzini infelici che sguazzano nella loro stessa rabbia. Si sentono vittime. Non hanno ricevuto quello che si meritavano. Nessuno li ha amati abbastanza. Naturalmente si aspettano che sia tu ad amarli... la conclusione è che ti odiano». Dunque, non odiano le donne in quanto donne, ma perché depositarie di un ruolo e una funzione impossibili da assolvere: riempire la vita degli uomini di un senso che neppure quegli uomini conoscono. Anche le donne uccidono gli uomini per motivi analoghi: ci sono donne possessive, viziate, inutili, avide o feroci, le violenze delle quali non vengono classificate come «uominicidi». Per ora sono solo il 20%, ma la strage compiuta dagli uni e dalle altre non può essere fermata dal Parlamento: il rischio è di discriminare gli uomini.
È da qui, dunque, che bisogna cominciare per arginare l'angosciante catena di violenze superficialmente definite «femminicidi». Non è un problema di pari opportunità, né di godimento dei diritti civili da parte delle donne, e tantomeno di finanziamento pubblico dei centri antiviolenza: così ci limitiamo a curare gli effetti della violenza, quando è possibile.
Invece, per colpire al cuore la causa della violenza nella coppia, dobbiamo educare uomini e donne a capire i sentimenti e a reclamare diritti riconoscendo la reciprocità dei doveri: non si può vendere, come se fosse amore, la propria inettitudine o comprare, ciecamente, i bisogni altrui. Il fraintendimento dell'amore si trasforma, sovente, in un'arma letale.
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