Il Cav scese in campo. E Feltri lo raccontò così
6 Marzo 2024 - 08:01Ripubblichiamo l’articolo con cui la scelta politica di Berlusconi venne spiegata ai nostri lettori nel ’94
Questo articolo comparve la prima volta su Il Giornale, il 26 gennaio 1994. Su tutta la pagina il titolo Il Cavaliere scioglie le briglie. L’occhiello recitava: L’accordo tra la Lega e Segni divide il PPI, mentre il Carroccio presenterà candidati, anche da soli, in tutto il Nord; il sottotitolo: Oggi Berlusconi annuncia con un messaggio in TV il suo ingresso in politica. È stato poi ripubblicato, con il titolo Berlusconi entra in politica. L’anomalia non è lui e il sommario «“Prima o poi mi toccherà discendere personalmente in campo” diceva col tono di uno costretto al passo, suo malgrado, senza entusiasmo e qualche rammarico», in Il diario di Vittorio Feltri. 1990-2004. 15 anni che hanno cambiato l’Italia e poi ripreso nel Meridiano sul giornalismo di Mondadori dedicato agli anni 1968-2001. Lo ripubblichiamo ora, a trent’anni dalla discesa in campo del Cavaliere, come testimonianza di quell’epoca e di come la scommessa liberale di Silvio Berlusconi, che allora pochi capirono, sia stata poi fondamentale per la politica a venire.
È successo quello che non poteva non succedere: Silvio Berlusconi, l’uomo delle televisioni commerciali e dell’editoria, ha deciso di cambiare mestiere. Già, perché la politica è sempre stata un mestiere, lo è ancora e speriamo che presto non lo sia più. Il capo della Fininvest lo andava dicendo da tempo, almeno sei mesi: «Prima o poi mi toccherà di scendere personalmente in campo». E lo diceva col tono di uno che, suo malgrado, senza entusiasmo e qualche rammarico, deve abbandonare le abituali occupazioni per andare in soccorso a dei parenti un po’ sciocchi ficcatisi nei guai.
Il tono era scocciato, ma dissimulava una certezza: che quei parenti sciocchi o li salvava lui o non li salvava nessuno. Non sappiamo se sarà così. Ma sappiamo che Berlusconi è fermamente convinto che così sarà. Perciò non abbiamo mai dubitato, neanche quando nicchiava, chiedeva consigli a destra e a sinistra (anzi, no: a sinistra mai), cercava conferme e sollecitava incitamenti a buttarsi; non abbiamo mai dubitato che, alla fine, il Cavaliere (come lo definiscono pieni di deferenza quelli del suo giro) avrebbe accantonato ogni indugio, ogni prudenza e si sarebbe lanciato spavaldamente nella più folle corsa che una persona con tutti i fili attaccati possa correre: quella elettorale.
Farà bene Berlusconi a partecipare alla competizione? Farà male? Ad ascoltare i suoi amici, i più sinceri, quelli che gli vogliono bene disinteressatamente, egli sta per commettere l’errore più grosso della sua vita. E aggiungono che solo un matto accetta il rischio di perdere un impero, quale il suo è, per tentare di conquistare una repubblichetta squalificata e sull’orlo del fallimento. Ad ascoltare i nemici, poi, la sua sfida al sacrario della politica, nel quale finora sono stati ammessi solamente gli addetti ai lavori, i sacerdoti delle tessere; ad ascoltare loro, soprattutto a leggere i loro giornali, Silvio non solo è un pazzo accecato dal potere, ma addirittura un baro che siede al tavolo della politica con tre reti televisive e un gruppo editoriale nei polsini. Se infine si considera la campagna di stampa, feroce e disordinata, che si è scatenata contro il Berlusconi fondatore di Forza Italia e candidato leader di partito; una campagna di stampa che lo ha dipinto come il pericolo pubblico numero uno; se si considera tutto questo - e molto abbiamo taciuto per brevità -, la risoluzione del principe di Arcore appare come un suicidio eccessivamente macchinoso per essere apprezzato persino da chi lo desidera.
Ma proprio perché tutto concorre a dargli torto - torto marcio - noi pensiamo che abbia ragione Berlusconi. Ha contro amici e nemici. Ha contro il Palazzo. Ha contro i professori del manuale Cencelli. Ha contro i colleghi. Ha contro i giornali (anche i suoi). Ha contro le TV (anche le sue).
Ha contro mezzo mondo. Soltanto mezzo, però. E lui che è un calcolatore, come calcolatori sono tutti quelli che hanno dimestichezza con il successo, punta proprio su questo: l’altro mezzo mondo che contro non gli è.
È il mondo della gente comune, che non fa opinione, ma ne ha una precisa benché non la esprima se non sulla scheda; il mondo degli imprenditori, piccoli e grandi, che non sono rappresentati dalla Confindustria; il mondo dei cittadini che lavorano onestamente e pagano le tasse anche sapendo di pagarne troppe e ingiustamente; i cittadini che rispettano i semafori e i divieti di sosta, che non si esibiscono in corteo, che non frequentano le piazze di Santoro, che mantengono la famiglia e non si fanno assistere da uno Stato che saccheggia le buste paga e non dà nulla in cambio, se non la pensione a chi non la merita, ospedali e scuole che non funzionano, una burocrazia arrogante e crudele.
Questo mezzo mondo potrebbe dare la vittoria al matto. Che sarebbe poi la vittoria - o la rivincita - delle classi medie che credono in una grande coalizione moderata, in un grande partito nel quale collaborino, con Forza Italia, la Lega, gli ex democristiani (non di sinistra), i liberali sopravvissuti al flagello di Altissimo e De Lorenzo, le truppe di Fini addomesticate sotto il tendone di Alleanza Nazionale.
L’anomalia non è Berlusconi in politica. L’anomalia è che per costituire un polo antitetico a quello di sinistra, ci sia bisogno di lui.
Ma anche questo Paese, che abbiamo ereditato dai signori delle segreterie, è un’anomalia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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