In Italia le parole veicolate dai politici, dai giornalisti e dai media in generale attecchiscono subito, benché immediatamente adattate e riplasmate dalla quotidianità. Come già nell'Ottocento ne I viceré di Federico De Roberto, quando alle prime elezioni della Repubblica i politici convocavano i meeting, storpiati dai siciliani in «metinghi», come oggi non ci sono più le elezioni ma l'«election day».
Certo di espressioni che speriamo di lasciarci alle spalle nel 2012 ce ne sono tante. A cominciare proprio dalla «spending review», ormai diventata sinonimo di sconto, magari per far sentire in colpa il commerciante ma dandosi un tono istituzionale, per cui entri in un negozio d'abbigliamento e senti: «Ma come, costa trenta euro? E non me lo fa un po' di spending review?». In sostanza prima lo sconto lo chiedevi per te, oggi per far fronte alla crisi.
Infatti la «crisi» va per la maggiore in un paese che è sempre stato in crisi, non solo economica: intellettuali in crisi, matrimoni in crisi, crisi di desiderio, crisi d'identità e sessuali, e le donne perennemente sull'orlo di una crisi di nervi, o sull'orlo di incazzarsi in nome delle donne e del «se non ora quando».
Ecco, a proposito delle donne, anche la parola «donna», declinata come bandiera di appartenza, come gruppo sindacal-cromosomico, «noi donne» contro voi uomini, sarebbe da abolire con l'anno nuovo perché oltre a essere asfissiante è veramente ammosciante. Come il «femminicidio», sinceramente un neologismo che più brutto non si può, e non lo puoi neppure dire, perché ti accusano di maschilismo. Cioè non si sono più gli assassini, ci sono quelli che uccidono le donne, e quelli che uccidono gli altri, e non capisco mai cosa pretendano quando parlano di prevenzione: che venga scritto nella Costituzione non uccidere le donne?
Oh per carità, che palle pure «la Costituzione», perché mica è come negli Stati Uniti, dove almeno la usi per appellarti agli emendamenti, qui nessuno l'ha mai usata per appellarsi a niente. Siccome però siamo originali, adesso i conservatori la vogliono cambiare e i riformisti la vogliono lasciare così com'è, anzi la declamano, come se fosse la Divina Commedia non più di Dante ma di Benigni. Infatti puntualmente la Costituzione l'ha declamata Benigni, e l'indomani per strada si sentiva dire: «Mamma mia, che bella la Costituzione, mi so' proprio commosso».
In un paese dove comunque, per carità, tutti ci mettono la faccia, soprattutto nei talk show. Espressione usata spesso e volentierissimo come alibi per giustificare ogni nefandezza: «Sì, ma io metto la faccia». Come dire: ho fatto schifo, ma ci ho messo la faccia. In ogni caso chiunque la faccia la mette come minimo su Facebook, per poi lamentarsi della «privacy», una parola che continuerà a esistere per tutto il 2013 credo solo per dare lavoro a Stefano Rodotà.
Oltre al metterci la faccia c'è anche la responsabilità, qualsiasi cosa la fai per senso di responsabilità, anche se tuo marito o tua moglie ti trova a letto con l'amante basta dire che lo facevi per responsabilità.
È probabile che con la vittoria del giovane Bersani non si parlerà più di rottamazione, termine meteora in un paese di sfasciacarrozze purché le carrozze siano quelle altrui. Anche perché l'evergreen di riferimento, «i giovani», suona sempre più sinistra, poiché oggigiorno annovera anche i cinquantenni e bisogna stare attenti, parti per rottamare i vecchi e rischi di darti una martellata in testa.
Tuttavia restiamo un paese con molto senso civile, quantomeno a parole, e per la verità non se ne può più dell'abuso della parola cittadino («Io, in quanto cittadino...»), per non dire della «società civile» (ma c'è anche «la società liquida» molto amata da filosofi e sociologi, forse perché bevono troppo). Perfino Monti, l'upgrading di Andreotti, il fondatore della Democrazia Cristiana 2.
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