La strategia difensiva di Roberto Speranza, negli anni, non si è spostata di un millimetro. Lo ha detto nelle interviste, lo ha ribadito a Palazzo Madama rispondendo alle mozioni di sfiducia presentate contro lui dall’allora opposizione di Fratelli d’Italia, lo ha spiegato anche ai magistrati di Bergamo nell’audizione del gennaio 2021 cui è stato sottoposto nel corso delle indagini. Eccola: "La bussola l'abbiamo sempre avuta e ci portava a difendere innanzitutto la salute delle persone”, ma “ciò che ci mancava era il manuale di istruzione su come fronteggiare un virus sconosciuto”. In realtà qualcosa c’era e si chiamava “piano pandemico influenzale”, ma per il ministro “era datato” e “non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale”. Un piano che in ogni caso avrebbe dovuto attuare “il direttore generale" della Prevenzione del Ministero, cioè Claudio D'Amario, pure lui indagato.
Nulla di nuovo sotto il sole, bisogna dire. Che i magistrati fossero convinti che il vetusto piano pandemico, benché non aggiornato dal 2006, potesse fungere da “sistema antincendio” ne avevamo già scritto su questo Giornale nel maggio del 2021. I pm hanno approfondito la questione, anche tramite la consulenza di Andrea Crisanti, e ritengono di aver trovato le conferme alle loro teorie: gli alert dell’Oms e le indicazioni delle autorità sanitarie internazionali avevano fornito tutti i segnali necessari a far scattare l’applicazione del piano, che invece è rimasto chiuso in un cassetto. Nell’avviso di conclusione indagini recapitato a 17 persone, tra cui Conte, Speranza, Fontana e una larga fetta dei vertici del ministero della Salute, vengono citati alcuni documenti precedenti al primo caso di Codogno. Si tratta di atti che i lettori di questo giornale dovrebbero già conoscere: una raccomandazione dell’Oms del 5 gennaio che invitava attuare tutte le “misure di sanità pubblica” sulla sorveglianza epidemiologica, alert da cui sarebbe dovuto determinare “l’ingresso dell’Italia nella Fase 3” del piano pandemico; la conferma da parte dell’Oms e della Paho della “trasmissione del virus da persona a persona”, e il relativo invito ad applicare misure di controllo già attuate per la Sars e la Mers; ma anche la dichiarazione del 31 gennaio da parte dell’Oms di “emergenza internazionale” con l’esplicito invito ad “affrontare l’emergenza pandemica anche con i vigenti piani influenza”.
Perché allora il governo decise di infischiarsene? Perché, come già ampiamente dimostrato nel Libro nero del coronavirus, la task force ministeriale, istituita il 22 gennaio, 17 giorni dopo l’alert dell’Oms, decise di ignorare il suggerimento di Giuseppe Ippolito (membro del Cts) di “riferirsi alle metodologie del piano pandemico di cui è dotata l’Italia e di adeguarle alle linee guida appena rese pubbliche dall’Oms”? Speranza sostiene che il piano fosse “datato” e non adatto ai coronavirus, perché pensato per le influenze “classiche”. Tant’è che si “navigò a vista” e macchina ministeriale si mise in moto per scrivere da zero un nuovo piano ad hoc per il Covid. Il famoso “piano segreto”, mai divulgato alle Regioni o al pubblico - se non dopo mesi di ricorsi e pressioni politiche. In un’intervista, Claudio D’Amario, il direttore generale chiamato in causa da Speranza, disse che il piano non scattò alle prime avvisaglie e che fu proposto dall’Iss (guidato da Silvio Brusaferro) “uno studio per poter fare un piano contro Covid dedicato a questa nuova tipo di pandemia”. La stessa linea tenuta da Speranza in Senato, quando disse che “di fronte a un virus totalmente nuovo” era “del tutto evidente” che “il piano pandemico del 2006 non era sufficiente” come non lo erano “le successive raccomandazioni emanate dall’Oms”. Per questo, il ministero “invece di “attendere istruzioni” o “tenere in ordine le carte”, decise di “andare decisamente oltre”.
I pm di Bergamo però non sono d’accordo. E per quanto sostenere l’accusa di epidemia colposa in aula sarà decisamente arduo, a confortare la tesi di chi punta il dito contro Speranza ci sono altri elementi. Due su tutti, come già questo giornale aveva avuto modo di raccontare. Primo: un documento ufficiale dell’Oms del 2018 spiega chiaramente che le pandemie influenzali “sono eventi imprevedibili ma ricorrenti” e che iniziano “con l’emergere di un virus a cui le persone non hanno una immunità pre-esistente e che può diffondersi da persona a persona”. Per questo si preparano dei piani pandemici “testati attraverso esercitazioni regolari” in grado di rispondere anche a virus sconosciuti. Indicazioni già contenute anche in altri documenti del 2014 e del 2017, secondo cui la Sars e le malattie da coronavirus andavano equiparate alle influenze e richiedevano “l’implementazione del piano pandemico”. Secondo: anche Ranieri Guerra (indagato, ma in un altro filone, per falsa testimonianza) in un’intervista al Corriere spiegò che “all’inizio del 2020 un piano c’era, era pienamente valido e conteneva azioni di preparazione e contenimento sempre efficaci, universali”. Valide insomma per tutte le tipologie di virus respiratori.
“Che senso ha avere un piano se poi quando arriva un virus sconosciuto lo si mette da parte per realizzarne un altro?”, ci chiedevamo nell’aprile del 2021. Una risposta ha provato a darla Crisanti nella sua relazione ai pm bergamaschi. Il senatore sostiene che il piano pandemico non riguarda i virus influenzali “stagionali”, ma un “virus influenzale pandemico”, ovvero “un virus nuovo” e sconosciuto. Per questo, il fatto che il piano del 2006 non fosse aggiornato né pensato appositamente per il coronavirus “non ne inficiava necessariamente la validità e la sua applicabilità” perché “un piano pandemico non può prevedere a priori le caratteristiche biologiche o epidemiologiche” del morbo. In fondo degli spunti “applicabili a tutti i virus a trasmissione respiratoria”, compreso il Covid. Attività da mettere in campo che sarebbero servite a “identificare precocemente i sospetti, bloccare la trasmissione dell’infezione tra la popolazione, proteggere il personale sanitario e assicurare supporto terapeutico ai malati”. Ad esempio, applicare il piano pandemico avrebbe suggerito di censire i posti letto e i respiratori disponibili, oppure di avviare in anticipo la scorta di Dpi. Il 15 febbraio del 2020 invece il governo decise di spedirne un carico in Cina. “Contrariamente a quanto affermato dal ministro Speranza - scrive Crisanti nella conclusioni - l’Italia aveva un manuale di istruzione, questo era il piano pandemico. Se poi l’Italia ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché è stato scartato a priori invece di essere valutato dai principali organi tecnici del ministero (…).
Lascio alla valutazione della procura come sia possibile che il ministro Speranza sia giunto a queste conclusioni quando nessuno dei responsabili degli organi tecnici a cui fa riferimenti si era preso la briga di leggere e valutare il piano”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.