Politica

Ci riprovano: carcere per i giornalisti

Sentenza scandalo a Milano: otto mesi senza condizionale al direttore di Panorama Mulè. Un anno a Marcenaro

Ci riprovano: carcere per i giornalisti

Milano - Come Alessandro Sallusti: due giornalisti di Panorama sono stati condannati al carcere per diffamazione a mezzo stampa. Anche in questo caso, come nella vicenda che nell'autunno scorso ebbe per protagonista il direttore del Giornale, la condanna scaturisce dalla querela sporta da un magistrato che si vede dare ragione da un altro magistrato. Stavolta è stato Francesco Messineo, procuratore della Repubblica di Palermo, a sentirsi diffamato da un articolo del settimanale. A rendere ancora più inattesa la condanna c'è il fatto che proprio nel corso di questo processo sono stati interrogati lo stesso Messineo e il suo ex «vice» Ignazio De Francisci: e hanno fornito della situazione nella Procura palermitana un quadro ancora più grave di quello descritto nell'articolo di Panorama. Si tratta dei verbali di interrogatorio pubblicati ieri dal Giornale, in cui Messineo e De Francisci parlano di una procura segnata da una «funesta tradizione di divisioni», dove i magistrati devono fare lo «slalom tra le faide» e giudici di sinistra e moderati si contrappongono paralizzando l'ufficio.
Eppure, dopo avere ascoltato in aula gli interrogatori dei suoi due colleghi, il giudice milanese Caterina Interlandi ha emesso la sua sentenza: un anno di carcere all'autore dell'articolo, Andrea Marcenaro; otto mesi al direttore di Panorama, Giorgio Mulè, per omesso controllo. A entrambi viene negata la sospensione condizionale perché già condannati in passato (per Mulè, si tratta di una ammenda di otto anni fa). Condannato anche, ma con la condizionale, un collaboratore del settimanale. È una sentenza di primo grado, che deve ancora passare per il vaglio dell'appello e della Cassazione. Per Mulè e Marcenaro la prospettiva di venire portati in carcere ad espiare la pena non è ancora immediata. Ma intanto il tribunale di Milano ha detto la sua: si può punire con il carcere un reato di stampa. Eppure quando la stessa sorte era toccata a Sallusti, a protestare erano stati giornali e politici di tutti gli schieramenti. E persino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva motivato la grazia concessa a Sallusti proprio con i dubbi sulla sensatezza della pena detentiva.
Ma il messaggio esplicito del capo dello Stato non ha evidentemente trovato grande ascolto a Milano. Così ecco la condanna al carcere: in un processo, peraltro, dove neanche la presunta vittima, Messineo, aveva smentito i fatti riportati nell'articolo, ma si era limitato a contestarne il tono e la tesi generale, ovvero una sua inadeguatezza a svolgere il lavoro di procuratore capo di Palermo, sintetizzata dal titolo «Ridateci Caselli». «Ho ricavato una impressione complessiva di delegittimazione e di aggressione morale, nell'articolo si ridicolizza la mia figura», ha dichiarato in aula Messineo. Aggiungendo: «Ho subito gravissimi danni in termini di immagine, quindi di sensazioni interiori, di autostima e quant'altro».

Al centro dell'articolo, d'altronde, c'era un incontrovertibile dato di fatto: un cognato imbarazzante. Il fratello della moglie di Messineo è un signore che è stato indagato e prosciolto per intestazione di beni a favore della mafia, e che al tempo dell'articolo era testimone in una inchiesta per omicidio a Caltanissetta. Questa parentela scomoda era nota da tempo, tanto che Messineo si era astenuto dal dirigere l'indagine. E nel 2009 il tema era stato sollevato da Repubblica e dalla Stampa, con articoli che avevano spinto i pm palermitani a organizzare una raccolta di firme a sostegno del loro capo. Messineo, allora, non sporse querela contro i due giornali. Querelò l'anno dopo invece Panorama per avere riportato gli stessi fatti. E per averli calati in un contesto di divisioni all'interno della Procura di Palermo che dal processo milanese per diffamazione è uscita confermato e anzi aggravato.

Ora il tribunale accoglie in pieno le richieste di Messineo, compreso il risarcimento di 20mila euro per compensarlo della «perdita di autostima» di cui ha parlato in aula. Una sentenza che - ma è ovviamente solo una coincidenza - arriva proprio mentre Panorama è in edicola con una copertina «Gli Strapotenti» dedicata alla magistratura.

E pochi mesi dopo lo scoop con cui nell'agosto dello scorso anno Panorama rivelò che la Procura palermitana aveva intercettato il presidente della Repubblica: facendo infuriare proprio Messineo.

Commenti