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Quanti avevano letto, e quanti ricordano, l'articolo per cui è stato condannato Sallusti? E quale danno oggettivo aveva arrecato alla persona che si è dichiarata offesa querelando e ottenendo una pena universalmente riconosciuta esagerata? Molti, moltissimi meno di quelli che hanno letto la notizia della condanna, che umilia l'Italia, il diritto, la nostra dignità rispetto agli altri Paesi europei. E i giudici, condannando Sallusti, non potevano non sapere che avrebbero svergognato, e cioè diffamato, l'Italia molto più di quanto Sallusti abbia diffamato il giudice che lo ha querelato, e che è un reato oggettivamente molto più grave e dannoso, anche solo misurandolo sugli effetti di immagine negativa per l'Italia che ha prodotto. Sono dunque irresponsabili i giudici di Cassazione e possono esercitare la giurisdizione ottenendo un risultato i cui effetti sono più gravi del reato che essi hanno inteso sanzionare? Certo la norma li legittima, ma un'altra norma (europea, quindi più ampia) li avverte (e non può non prevalere) delle conseguenze negative della loro decisione. È notevole infatti che, non un magistrato di Cassazione ma una professoressa di Diritto internazionale, Marina Castellaneta, richiami loro quello che certamente conoscevano, e, in nome dello Stato, dovevano valutare con coscienza, per non danneggiare il loro Paese: «Se il direttore del Giornale farà ricorso, i giudici europei sanciranno non solo la violazione della libertà di espressione, ovvero di uno dei fondamentali diritti dell'uomo, ma imporranno all'Italia un congruo risarcimento per danni non patrimoniali in virtù della forte situazione di stress subita dal direttore». Si aggiunga la discesa dell'Italia nei parametri di giudizio sui valori di giustizia e legalità, per una interpretazione di uno o più giudici che hanno deliberatamente esposto l'Italia a quelle prevedibili sanzioni, che non loro pagheranno, ma i cittadini. Quando, infatti, l'Italia sarà condannata, apparirà evidente l'ingiustizia della sentenza su Sallusti. L'atteggiamento dei giudici della Corte rispecchia quello, fazioso e compiaciuto, di Bruno Tinti, che confonde l'esistenza del reato con la sproporzione della pena, fingendo di ignorare la questione. E, concludendo, con puntiglio: «Dunque Sallusti è colpevole, altro che. E non di reati d'opinione». Lui pretende d'avere ragione. Sono dunque tutti cretini, dagli intellettuali, ai giuristi, ai magistrati, al ministro, quelli che rilevano l'anomalia e la contraddizione della condanna al carcere. Come arbitrio dei magistrati contro l'interesse dello Stato. Questo è l'argomento, caro Tinti.
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