Se lo Stato parolaio violenta le donne

L'Italia va alla guerra contro il femminicidio. Ma i cassetti sono pieni di denunce che nessuno ha il tempo di vedere, le indagini camminano storte e i processi per stupro sonnecchiano

Nuove leggi. Aggravanti feroci. Commi affilati come coltelli. Un grondare di editti e pene, con un corredo di monitoraggi e promesse di task force da prima linea. L'Italia va alla guerra contro il femminicidio, s'indigna per la violenza sulle donne, ripete come uno slogan: «Mai più». Poi, archiviati i titoloni dei giornali, ti accorgi che i cassetti sono sempre pieni di denunce che nessuno ha il tempo di vedere, le indagini camminano storte come gli ubriachi e i processi per stupro e stalking sonnecchiano. Di più: a Sassari l'avvocatura dello Stato, non il difensore della presunta belva, si mette a cavillare come e meglio di Azzeccagarbugli e trova la norma che offende nello spirito la donna già ferita nel corpo. Lo Stato, lo stesso che a parole stende il suo mantello protettivo sui più deboli come la madonna di tanti dipinti medioevali, ti abbandona. Ti scarica in mezzo alla strada. E blinda il portafoglio come un caveau. Altro che risarcimento. Ma quale solidarietà. Gli abbracci, le testimonianze, l'ascolto paziente vanno bene per i convegni con coffee break, per i salotti televisivi, per le statistiche. La realtà, quella che comincia davanti alla porta di casa e finisce nelle aule dei tribunali, è un'altra cosa. È la giungla.

In cui le istituzioni entrano come soldati stranieri. O, più banalmente, con la divisa del burocrate. Preoccupato solo di risparmiare qualche euro sulla pelle delle vittime. Senza rossore e senza vergogna. Lo Stato la sua dignità l'ha persa da un pezzo.

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