Venezia I più esperti, o forse solo i più vecchi, hanno pensato subito a Primo Greganti. Sì, il compagno G che all'epoca di Mani pulite si beccò una condanna per finanziamento illecito al suo partito, il Pci, senza però mai confessare nulla e senza tirare in ballo altri esponenti più in vista della gioiosa macchina da guerra che Occhetto stava per portare alla disfatta. Quando ieri, dai voluminosi faldoni dell'inchiesta condotta dalla Guardia di finanza sul giro di mazzette al Consorzio Venezia Nuova, è venuto fuori che Giampietro Marchese, consigliere regionale e già responsabile organizzativo del Pd veneto, avrebbe intascato 50mila euro in contanti (con tanto di intercettazione ambientale), più di qualcuno ha fatto un salto indietro di 20 anni.
L'inchiesta sul Consorzio che si occupa della realizzazione del Mose a Venezia ha già scatenato un diluvio di polemiche. Un paio di settimane fa sono state arrestate 14 persone, mentre un altro centinaio è finito nel registro degli indagati. Solo per il periodo finito sotto la lente delle Fiamme gialle, il biennio 2005-2006, più il 2010 e una parte del 2011, sarebbero state riscontrate (con foto, video, intercettazioni) tangenti per circa 800mila euro. Il presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati, 81 anni, ai domiciliari, avrebbe iniziato a collaborare con la Procura per ricostruire la fitta rete di appalti e prebende avviluppata attorno al Mose, opera tanto attesa a quanto pare anche per il tornaconto di altri personaggi che avevano il potere di pilotare le gare. Mancava però l'aggancio politico, anche se dai registri del Consorzio emergono contributi elettorali a svariate formazioni politiche e a singoli candidati. L'ex ministro Altero Matteoli, per esempio, ha ricevuto 20mila euro, («Poi restituiti, come emerge dalla documentazione», precisa l'interessato).
Ma il caso Marchese è diverso. Più imbarazzante. Una mazzetta vera e propria, sarebbe stata consegnata da Pio Savioli, già nel consiglio direttivo del Consorzio, al piddino Marchese, approdato da poco in Consiglio regionale dopo essere stato il primo dei non eletti. La Gdf ha pochi dubbi: lo scambio sarebbe avvenuto nel 2010, sotto gli occhi degli investigatori che da tempo tenevano sotto controllo i protagonisti. Marchese è un esponente in vista del Pd veneto, essendone stato il segretario organizzativo regionale, oltre che responsabile della Fondazione Rinascita, a cui fa capo il patrimonio immobiliare costituito dalle sedi Pci-Pds-Ds-Pd, per un totale di circa tre milioni di euro. Gli inquirenti ipotizzano che questa complessa rete di «finanziamenti» occulti avesse lo scopo di creare fondi neri. La senatrice Rosanna Filippin, segretario regionale del Pd, ha diffuso una nota in cui da un lato «scarica» il compagno di partito («Piero Marchese non ha mai ricoperto il ruolo di tesoriere né del Pd Veneto, né del Pd di Venezia. Marchese è stato responsabile organizzativo del Pd Veneto, incarico da cui si è dimesso dopo aver organizzato le primarie»), e dall'altro lo difende: «Il nostro rispetto nei confronti della magistratura è assoluto, per cui attendiamo che le indagini facciano il loro corso in autonomia. Mi auguro che si giunga presto all'accertamento dei fatti ma sono sicura che Marchese dimostrerà la sua totale estraneità. Ricordo infine - conclude Filippin - che il bilancio del Pd è pubblico e certificato».
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