"Così Md ha salvato Zingaretti dagli arresti"

Dopo la condanna a 12 anni per Mafia Capitale, Buzzi si vendica di Pd e giudici: ecco cosa successe

"Così Md ha salvato Zingaretti dagli arresti"
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Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio. Nel suo libro intervista con Umberto Boccolo di Nessuno tocchi Caino dal titolo Mafia Capitale - La gara Cup del Pd di Zingaretti (edizioni La Bussola) di prossima uscita l'ex ras delle coop rosse Salvatore Buzzi (foto) ricostruisce le delicati fasi delle indagini e del processo che hanno portato alla sua condanna a 12 anni e 10 mesi nel processo Mondo di mezzo (associazione per delinquere - senza l'aggravante mafiosa, depennata definitivamente nel 2019 dalla Cassazione - corruzione, turbata libertà degli incanti e trasferimento fraudolento di valori i reati a lui contestati) e accusa la corrente di Magistratura democratica di aver condizionato la vicenda per salvare l'ex segretario Pd ed ex governatore del Lazio Nicola Zingaretti.

Se l'altro giorno nella sua intervista al quotidiano L'Identità diretto da Tommaso Cerno Buzzi ha puntato il dito sulla sinistra («Sto pagando per essermi fatto corrompere da chi mi ha utilizzato e non mi vuole più sentire»), nel suo volume l'affondo è tutto nei confronti di alcuni magistrati della Procura di Roma. Una ricostruzione che chiama in causa l'allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e i pm Paolo Ielo e soprattutto Giuseppe Cascini, colpevole secondo il fondatore della coop 21 Aprile di aver inquinato la vera ricostruzione sugli appalti che la sua coop riusciva a portare a casa grazie all'appoggio della politica, ma anche l'ex pm Luca Palamara, che in quegli anni (siamo intorno al 2014-205) dava le carte al Csm assieme a Cascini. Un sistema criminale stile Suburra che ha condizionato gli appalti pubblici di Roma Capitale anche grazie al ruolo dell'ex Nar Massimo Carminati. Alcuni politici sono stati risparmiati dall'inchiesta, come lo stesso Zingaretti, le cui responsabilità nella mala gestio della cosa pubblica non sarebbero emerse in tutta la loro gravità. «Con me la giustizia è stata al di poco sopra le righe, non potevo essere arrestato perché ero depresso e in una comunità, è stato un incidente di esecuzione come dice la Cassazione», ha ribadito Buzzi al suo intervistatore dell'Identità Edoardo Sirignano, come se dentro la magistratura ci fosse qualcuno che ha voluto fargliela pagare più del dovuto. Da qui la necessità di «riscrivere» la storia della gara del Cup, il Centro unico delle prenotazioni per le visite mediche negli ospedali della Regione Lazio del 2014. Una gara «gestita politicamente» e nata «già viziata» per saziare gli appetiti politici di correnti e sotto-correnti Pd.

La confessione che Buzzi e altri indagati faranno su questa spartizione non verrà considerata, l'ex ras delle coop rosse e i suoi sedicenti complici vengono assolti dalle ipotesi di corruzione e concussione che loro stessi ammettono. Perché? C'è un pm come Paolo Ielo che crede a questa storia. È lui, insieme a Luca Tescaroli (oggi a Firenze, indaga su Silvio Berlusconi e le stragi del '92-'93) e Cascini ad affiancare Pignatone e l'aggiunto Michele Prestipino nell'inchiesta «Mafia capitale». Ielo sarebbe «fissato» con l'allora capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro. Nel mirino c'è anche Elisabetta Longo, dirigente della Regione Lazio in quota Zingaretti e presidente della commissione della contestata gara Cup. Secondo la ricostruzione di Buzzi i tre si sarebbero rivolti ad alcuni membri del Csm, lo stesso Palamara e l'avvocato Paola Balducci. Intanto Ielo si sfila da questo filone delle indagini, anche grazie a un avvocato legato a una storica esponente di Magistratura democratica, stessa corrente del pm Cascini. Il risultato? Nessuno di loro, né Zingaretti, né Longo né Venafro (che lascerà il ruolo di capo di gabinetto del presidente della Regione Lazio e diventa consulente di Fabrizio Centofanti, l'imprenditore che ha inguaiato Palamara) viene arrestato come succede ad altri coimputati, nessuno di loro viene condannato, nonostante Buzzi e altri imputati avevano confessato che quella gara era condizionata.

Stranezze all'italiana, in un Sistema che Palamara confermerà essere stato epicentro delle principali vicende politico-giudiziarie di questo Paese. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Tranne Buzzi, ma questa è un'altra storia.

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