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La faccia tosta del premier che rinnega il suo governo

Se il presidente del Consiglio non crede in ciò che fa, può andare a casa. E i suoi pretendono che il Cavaliere rinunci a difendersi in Senato

La faccia tosta del premier che rinnega il suo governo

Ci vuole una bella faccia tosta per dire a un largo pubblico, essendo stato nominato presidente del Consiglio dei ministri e avendo messo insieme una maggioranza per governare l'Italia, che «non è questo il governo che volevo» e «la prossima volta mi batterò per un governo diverso». Quella faccia Enrico Letta ce l'ha. Per dirla con tutti i sepolcri imbiancati che rivendicano da Berlusconi comportamenti da paese normale, in un paese normale non succede che il capo dell'esecutivo sputi in faccia alla maggioranza che lo sostiene per strappare un applauso demagogico alla Festa del suo partito. Due sono le cose: o Letta non crede in quello che fa con Alfano e Brunetta e con il sostegno di Berlusconi, e allora deve andare subito a casa per ragioni fin troppo evidenti, oppure ci crede ma mente spudoratamente per la gola, cioè per il consenso di partito insidiatogli da Matteo Renzi, e allora deve andare a casa e occuparsi del Congresso del Pd. Non è lui che distingue tra policies e politics, tra cose da fare e potere fondato sul consenso da gestire? Stare lì con il mugugno, con l'idea che sarebbe meglio essere altrove, è un peccato di gusto imperdonabile, oltre che una bizzarria politica incomprensibile. La Merkel fu in coalizione nazionale con i socialdemocratici, dopo una campagna elettorale fortemente polarizzata che non condusse a risultati di maggioranza seri e solidi, ma non si sognarono mai, né la Cancelliera né il suo vice della Spd, di deprezzare come un triste ripiego il loro governo. Nella campagna elettorale successiva al governo di Grosse Koalition si limitarono a spiegare perché l'avevano fatto e le ragioni con cui l'avevano sostenuto e caratterizzato, per poi passare ad altro. Paesi normali.

A proposito di paesi normali. Sarebbe un «ricatto», gridano alla Repubblica, la frase di Berlusconi che stabilisce un collegamento diretto tra la sorte del governo Letta e il voto del Pd per sbatterlo fuori dal Senato, sottomettendosi definitivamente all'oltranzismo dei magistrati senza nemmeno concedere il pieno esercizio del diritto alla difesa suggerito da Luciano Violante. Che stravaganza pensare che il cane sia cattivo, quando - attaccato - si difende. Non è cosa da paese normale pretendere dal leader di una componente decisiva della maggioranza il pieno e leale sostegno al capo del governo, vicesegretario del Pd in origine, mentre il suo partito e tuo alleato ti nega la possibilità anche solo di mettere in discussione la tua decadenza da parlamentare (opinabile secondo parecchi osservatori non di parte), e straparla di «atto dovuto». Vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, impresa proverbialmente difficile da condurre al successo. E vogliono tutto questo pazziare, stralunati come sono, in nome di un paese normale.

Vada a casa. Lo dice anche il Renzi, perché - di nuovo - in un paese normale se uno sia condannato, ecco che dovrebbe automaticamente lasciare la politica. Nei paesi normali e civili i magistrati e i giudici, anche di Cassazione, non danno interviste, non manifestano in modo scollacciato la loro partigianeria ideologica, non tentano di processare i testi a difesa degli imputati, non parlano di furbizia orientale delle non-vittime di non-reati, non scrivono romanzi origliatori da pubblicazione in appendice, non lasciano che sia violato il segreto investigativo e sempre in una sola e medesima direzione, non individuano in un uomo o nel movimento da lui fondato il fomite della criminalità politica, dall'evasione fiscale alla prostituzione e alle stragi, in un contesto in cui l'accusa penale diventa la piattaforma di una campagna di stampa che dura vent'anni, e tutti i mezzi, anche quelli chiaramente abusivi, vengono impegnati per dare ai togati la preminenza politica e morale su ogni altro soggetto istituzionale, fino alla presentazione sistematica di liste di partito in toga, che peraltro hanno un perfetto insuccesso di pubblico, fino all'attacco al Quirinale. O Napolitano deve fare senatore a vita anche Ingroia?
Però la parabola del paese normale vale anche per Berlusconi, a pensarci bene. In un paese normale dovrebbe andarsene dal governo e chiedere immediate elezioni politiche, e lasciare tutti nei pasticci, senza tentennamenti. Il che è dunque perfettamente legittimo.

  Ma nel paese anormale in cui viviamo resta da appurare se sia meglio passare per carnefice della stabilità o per vittima dell'irresponsabilità altrui, mantenendo un orgoglioso cipiglio e rilanciando la battaglia della giustizia giusta senza farsi incastrare nel ruolo del personalistico scassatutto.

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