Non si arresta la polemica sui funerali e sulla sepoltura di Erich Priebke, l'ex SS nazista condannato all'ergastolo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine e morto all'età di 100 anni a Roma venerdì 11 ottobre. Il Vicariato di Roma, sostenuto nella sua posizione anche dal Vaticano, resta fermo sulla propria linea. «Non ci sarà alcuna celebrazione esequiale in nessuna Chiesa di Roma», ha precisato il portavoce del Vicariato guidato dal cardinale Agostino Vallini.
Ma l'avvocato dell'ex capitano delle SS insiste: «Sono pronto a celebrare i funerali in strada. Saranno esequie religiose perché questa era la sua volontà e non possiamo fare altrimenti».
In questa intervista al Giornale monsignor Santo Marcianò, finora arcivescovo di Rossano-Cariati e nominato il 10 ottobre nuovo Ordinario militare d'Italia e dunque Generale di corpo d'armata, precisa la posizione della Chiesa sulla vicenda.
Eccellenza, cosa prescrive il diritto canonico in queste circostanze?
«Il diritto canonico prevede che ci possa essere un rifiuto dei funerali cristiani per un peccatore pubblico che non si sia pentito prima della morte e che con i propri gesti abbia dato pubblico scandalo ai fedeli. Nel caso di Erich Priebke siamo di fronte a queste circostanze».
Quindi ritiene che la decisione del Vicariato sia giusta?
«La scelta del Vicariato di Roma che, per bocca del portavoce don Walter Insero, ha precisato come non sia previsto alcun funerale a Roma per Erich Priebke, va letta come una decisione importante e densa di significato, che non deve rimandare a valutazioni affrettate. Nella sapienza della Chiesa il rifiuto dei funerali può essere una scelta pastorale, con la quale si intende offrire a tutti un segno della gravità di alcuni peccati e lo stimolo a evitarli per il futuro».
La Comunità ebraica si è detta soddisfatta della presa di posizione della Chiesa...
«La memoria di quanto accaduto con la terribile vicenda dell'Olocausto non è un ricordo del passato, ma va mantenuta viva, perché sia di monito alle generazioni future e, soprattutto, per testimoniare vicinanza concreta e compassionevole alle gravi ferite dei nostri fratelli ebrei; ferite che proprio in questi giorni sembrano risvegliarsi, per la ricorrenza del settantesimo anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma».
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha definito Roma «città antinazifascista che ha sofferto drammaticamente». Un punto su cui recentemente anche Papa Francesco si è soffermato.
«Nel suo incontro con la delegazione ebraica del 12 ottobre, Papa Francesco ha affermato che, oltre alla preghiera comune, l'anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma sarà l'occasione per mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinché non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo. Un cristiano non può essere antisemita!, ha concluso il Papa, augurandosi che l'antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!. E questa è la linea che va seguita».
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