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E Alfano lancia la sfida sulla sicurezza: «Hanno reso Milano una città pericolosa»COME BATTERE LA SINISTRA

Avviso ai progressisti, in particolare, e in generale a chi si occupa di politica in questo dannato Paese: dare per spacciato Silvio Berlusconi porta sfiga. Lui non è un gatto, ma ha sette vite. Non so se avete notato: se c'è un funerale, il Cavaliere non è mai il «festeggiato»; al massimo, assiste.
Giova ricordare ciò che accadde nel 1994. Tutti, anche molti amici, scommettevano sulla sua sconfitta, poi dovettero ricredersi davanti ai risultati elettorali. Durò poco a Palazzo Chigi, circa nove mesi. E quando sloggiò gli avversari commentarono: è finito. Massimo D'Alema pareva avesse azzeccato la profezia: lo vedremo presto fuori da una chiesa, seduto sui gradini, a chiedere l'elemosina. Altri prevedevano per Sua Emittenza un futuro da detenuto. Altri ancora (più ottimisti?) ipotizzavano la confisca delle aziende Fininvest: «Le banche costringeranno il padrone a rientrare, lui non potrà pagare i debiti perché troppo esposto, e gli istituti di credito gli porteranno via l'impero».
Nulla di tutto ciò si è verificato. Berlusconi è ancora qua e, piaccia o no, domina la scena anche quando è dietro le quinte. Ceduto il posto a Mario Monti, e il trono (si fa per dire) ad Angelino Alfano, discepolo prediletto con due quid così, considerato quante ne ha dovute sopportare, il Cavaliere in alcune circostanze si spinse incautamente a dichiarare che non sarebbe più stato candidato premier. La sinistra esultò, salvo pentirsene subito dopo. In assenza di un nemico cui attribuire ogni disgrazia italiana, il Pd se ne è creati vari al proprio interno, il più pericoloso dei quali è Matteo Renzi, che forse non riuscirà a scalzare Pier Luigi Bersani, ma ha già messo in crisi il partito.
Il centrodestra ha dei problemi? Il centrosinistra ne ha di più. La situazione è talmente confusa da non consentire a nessuno di pensare che il destino politico sia segnato. Consapevole di questo, l'altroieri Berlusconi si è rimaterializzato, dimostrando d'avere ancora voglia di rendere difficile la vita ai propri detrattori. Ha scelto un luogo simbolico per apparire ai fedelissimi: una nave da crociera (dei lettori del Giornale) del tutto simile a quelle su cui da ragazzo egli cantava per intrattenere i crocieristi, accompagnato al pianoforte da Fedele Confalonieri. Una specie di rimpatriata, in un clima che gli ha sciolto l'eloquio.
Intervistato dal direttore Alessandro Sallusti, il Cavaliere si è aperto e ha spiegato i motivi che lo inducono a temporeggiare prima di assumere una decisione: tornare in campo o rimanere in panchina? La nuova legge elettorale non c'è e si ignora quale sarà: i partiti trattano (...)

(...) infruttuosamente da mesi. Si ignora il tipo di alleanze praticabili. Nonostante il prodigarsi di Mario Draghi, la finanza europea è piena di incognite, lo spread non si è affatto stabilizzato. L'unica certezza italiana è un fisco da record mondiale, causa principale della recessione.
Con queste premesse, sarebbe imprudente anticipare ogni scelta. Conviene attendere nella speranza di capire quali prospettive si delineino. Berlusconi, a onta del proprio temperamento gioviale, non è avventato e preferisce studiare le mosse degli avversari, fino a questo momento inspiegabili per non dire illogiche. Le sue sono limpide, ma non esistono ora le condizioni per realizzarle. Il sistema, d'altronde, è marcio e non funziona da anni; sappiamo perché: abbiamo una Costituzione paleodemocratica, pressoché immodificabile con gli strumenti a disposizione del governo e di maggioranze composite, coalizioni abborracciate.
Il Cavaliere non può sbilanciarsi. Bisogna intuire ciò che gli frulla in testa. Siamo convinti - ma è solo un'opinione - che egli abbia in serbo due progetti.
Primo. Valutare l'opportunità di costituire un Polo di liberaldemocratici comprendente forze omogenee e interessate a non consegnare il Paese alle sinistre tassaiole e a confidare nella forza inespressa, e compressa, dell'economia italiana. Un gruppone in grado di strappare oltre il 50 per cento dei consensi, quindi attrezzato per imporre le riforme all'altra metà della luna. Nel caso, Berlusconi non esiterebbe a farsi da parte, appoggiando un candidato premier autorevole e capace più di lui, in questa congiuntura, di aggregare consensi.
Secondo. Qualora l'opzione sommariamente descritta non si concretizzasse, il piano alternativo prevederebbe lo stesso Berlusconi al timone del Pdl (ammesso che non muti la denominazione) con l'incarico di condurre la campagna elettorale. Obiettivo: strappare il massimo dei voti possibili per negoziare con altri partiti come formare una maggioranza che non faccia pendere troppo a sinistra la politica negli anni venturi.
Previsioni? Sarebbe azzardato farne. E qui ci riallacciamo alla confusione cui abbiamo accennato all'inizio di questo articolo. Non sono i buoni propositi a determinare la realtà, ma è la realtà che suggerisce strategie e tattiche. Aspettiamo fiduciosi. E ribadiamo: chi immagina di poter fare i conti senza il Cavaliere, si illude anche stavolta.

La partita è tutta da giocare.

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