Ecco la nuova mappa della fede Dio si è fermato nelle Filippine

Ecco la nuova mappa della fede Dio si è fermato nelle Filippine

Di solito i rapporti sulla religione nel mondo si occupano della diffusione delle diverse confessioni su scala planetaria. Ci spiegano per esempio che il cattolicesimo è in declino in Europa e in Sudamerica ma sta crescendo in Asia e Africa, che in Sudamerica crescono i protestanti, mentre l'Islam è in fase di stallo. E così via.
Uno studio un po' diverso è stato condotto per conto dell'Università di Chicago dal sociologo Tom Smith. A un primo sguardo potrebbe sembrare il classico uovo di Colombo, ma non lo è. Smith si è infatti occupato della fede nella sua accezione minimale, «Credi in Dio?», studiando su un campione di trenta paesi la variazione dei sì e dei no a questa domanda nell'arco di quasi vent'anni, dal 1991 al 2008.
I risultati sono in buona parte quelli che tutti noi potevamo prevedere con un po’ di buon senso. Il territorio che conta la maggior percentuale di sedicenti atei (52,1%) è quello dell'ex-Germania Est, seguito dalla Repubblica Ceca (39,9), dalla Francia (23,3% per la figlia primogenita della Chiesa Cattolica), dall'Olanda (19,7%) e dalla Svezia (19,3%).
Viceversa, le Filippine sono in testa nella speciale classifica della fede (83,6% di credenti, con solo lo 0,7% di atei) mentre anche gli Usa non se la passano male (60,6% di credenti).
Altri dati sono più contraddittori, per esempio nell'ex Germania Est la percentuale di non credenti è cresciuta rispetto a quando fu abbattuto il Muro di Berlino, segno che il comunismo c'entra fino a un certo punto. Viceversa, negli altri paesi dell'ex-blocco comunista la fede è cresciuta.
La conclusione, anch'essa attendibile, è che la fede cresce nei paesi poveri mentre conosce una sia pur lieve flessione in quelli più ricchi.
La lettura di questi dati è molto difficile per diverse ragioni. Ne dico due.
La prima è che spesso quello che diciamo su questo argomento non coincide con la realtà dei fatti: conosco alti prelati che non si sono mai sognati di credere nell'esistenza di Dio, e atei dichiarati che non sanno parlare d'altro.
La seconda è che non è facile stabilire cosa ciascuno intenda con la parola «Dio»: se tutti facciamo i conti con questa domanda, non tutti - perlomeno nel nostro tempo- hanno ricevuto quel minimo di educazione necessaria per affrontare l'argomento.
Tutto richiede studio e preparazione, specialmente un tema ineludibile come questo. Invece, è quello che viene eluso più facilmente.
C'è, tuttavia, in questo studio anche qualche dato attendibile. Uno specialmente mi colpisce: il fatto cioè che la fede risulti più salda nei paesi poveri, ma soprattutto nei paesi a bassa tecnologizzazione. Paesi, cioè, dove quello che un uomo fa, lo fa soprattutto con il corpo (lavoro manuale, e non solo). Più alto è il tasso di fisicità, più alto è il tasso di fede.
Non a caso lo sport più diffuso nelle religiosissime Filippine è il pugilato. Il filosofo Fabrice Hadjadj stabilisce un nesso tra le due cose, quando dice che «alla filantropia bastano un assegno e una fotografia, mentre la carità esige la prossimità fino alla boxe».
Dove, invece, prevale la mente, prevalgono gli strumenti inventati per coadiuvarla. La tecnologia promette da sola, senza dover fare i conti con nessun dio, un suo paradiso. Tutto è qui, tutto è a portata di un clic, tutto si può sapere istantaneamente, senza più dover fare la fatica di cercare, di reperire i dati. Ecco la grande promessa: la risposta a tutte le domande, qui, adesso.
Nello spazio virtuale nessun dio è comparso, almeno finora. Per trovare Dio occorre alzarsi, muoversi, compiere un percorso che non può essere solo spirituale (o mentale) ma anche fisico, perché è fatto di incontri, di legami molto concreti, di rapporti che nessun iPad può stabilire.
La più grande nemica di Dio infatti - chiamatela gnosi, chiamatelo relativismo, chiamatelo nichilismo - è l'astrazione, l'interpretazione.

E sono sicuro che un francese «interpreta» molto più di un filippino. Mentre Dio è sempre stato amico di chi soffriva, di chi viaggiava, di chi era esiliato o deportato, di chi affrontava il mare aperto. E dubito che abbia cambiato idea.

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