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Epifani segretario dimezzato prova a tenere a galla il partito

Epifani segretario dimezzato prova a tenere a galla il partito

Si apre in un clima che sta tra la tragedia (le ultime parole del segretario uscente Bersani, seguite dal minuto di silenzio per i morti del porto di Genova) e la farsa (fuori dalla Fiera di Roma protestano le sparutissime truppe di «Occupy Pd», con tanto di maglietta col marchio e con il maniaco tv dei preservativi, Paolini, alla loro testa). Si chiude nel sollievo collettivo: ancora una volta il Pd è sopravvissuto, sia pur per il rotto della cuffia; e ora, con Guglielmo Epifani (già chiamato a rapporto al Quirinale, ieri sera), ha persino un segretario in carica, sia pur per un periodo incerto, e ben commissariato dalle correnti. E pazienza se votato sì dall'85% dell'assemblea, ma con quasi metà (i votanti erano 593 su 1.000) dei membri assenti e con 135 tra schede bianche e schede nulle.
D'altronde se la erano vista talmente brutta i dirigenti Pd, in queste ultime settimane, che l'esser riusciti ad evitare la finale implosione ieri sembrava già un miracolo. Certo, per ora è solo una toppa sulle lacerazioni che si sono aperte nel tessuto del partito dal giorno dei risultati elettorali (sui quali non c'è stata una parola di autocritica da parte di Bersani), ma ora se non altro si può rinviare la resa dei conti ai prossimi mesi. Quelli in cui si aprirà la partita vera, per la durata del governo, la guida del partito e - soprattutto - la candidatura a prossimo premier. Nel frattempo, ora c'è da occuparsi di riempire gli organigrammi restati vuoti (e negli incarichi per la segreteria stavolta anche i renziani vogliono voce in capitolo), da litigare sullo Statuto (separare o no la figura del segretario da quella del candidato premier?) e da sostenere, cercando di farlo digerire alla base, il governo «contronatura» con il Cavaliere. Un governo che - come ha detto lo stesso premier Enrico Letta - «non è certo il mio ideale, e neanche il premier».
Una cosa appare certa: chi pensava che Epifani avesse sottoscritto una sorta di patto per fare il segretario pro-tempore e poi tornare dietro le quinte al momento del congresso (fissato ad ottobre), ieri si è dovuto ricredere: l'ex leader Cgil si è ben guardato dal prendere alcun impegno, ed è altamente probabile che si ricandidi da segretario uscente, e dunque con una forte base di partenza. Gianni Cuperlo ha annunciato la propria candidatura, sostenuta da turchi e dalemiani, ma di qui ad ottobre potrebbe ripensarci. E poi c'è l'incognita Matteo Renzi. Attorno alla quale la dice lunga il dialogo che si è svolto ieri in un corridoio della Fiera, quando il dalemiano Nicola Latorre ha intercettato al bar il renziano Dario Nardella e lo ha apostrofato: «Dovete convincere Matteo a presentarsi candidato al congresso: non può più sottrarsi, ha bisogno del Pd. E il Pd ha bisogno di lui». Renzi per ora ripete di non pensarci neppure. Ieri lo ha detto anche dal palco: «Se il Pd riscopre l'autenticità e la passione, io, non da candidato alla segreteria o da candidato all'Anci ma da militante, darò una mano». Ma molti dei suoi lo incalzano, consci del rischio di farsi sfuggire una seconda occasione: «La verità - ragiona uno di loro - è che o il governo non ce la fa e cade entro ottobre, e allora non si farà neppure il congresso e tutti imploreranno Matteo di candidarsi a premier, perché è l'unico che può dare una chance contro Berlusconi. Oppure non cade più. Nel senso che dopo le Europee si apre il semestre di presidenza italiana della Ue e non si potrà votare, e Letta arriva in gloria al 2015. Magari incrociando pure la ripresa». E a quel punto sarebbe dura scalzarlo dalla premiership.
Renzi, al suo debutto dal palco dell'assemblea, ha monopolizzato telecamere e attenzioni, e il suo breve discorso, volutamente sottotono (ha anche reso l'onore delle armi a Bersani, pur riservandogli una micidiale frecciata: «Se non prendi i voti dei delusi di centrodestra poi ti tocca prenderti i ministri del centrodestra») è stato accolto con un calore tutto nuovo da una platea a lui ostile, sulla carta.

Che lo ha applaudito assai più di Rosy Bindi, per dire: «E pensare che mi aspettavo il gelo», confida lui.

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