Il fallimento dello schema del 1994

Come nel '94 la sinistra confida nella "gioiosa macchina da guerra" che poi s'inceppa. Non si vince con le inchieste ma convincendo gli elettori del centro

Il fallimento dello schema del 1994
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Forse nel lessico bisognerebbe aggiungere un nuovo vocabolo: «ebetismo politico». Il «campo largo» - ma privo di Matteo Renzi sarebbe più preciso definirlo «il campo monco» - dopo trent'anni ha ripetuto gli stessi errori che portarono alla sconfitta la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Il cocktail è stato lo stesso di allora e come allora è stato una garanzia di sconfitta: una coalizione molto spostata a sinistra modello Mélenchon; scoperta sul fianco moderato per il veto grillino e della sinistra radicale su Italia Viva (all'epoca ad Occhetto mancarono i popolari che in quel momento erano dei puri democristiani). E ancora che punta sul solito armamentario trito e ritrito: l'offensiva giudiziaria che questa volta ha costretto Giovanni Toti al baratto dimissioni-libertà; e poi la consueta offensiva mediatica culminata con la trasmissione su Rai Tre, proprio nelle ore del voto, che ha esposto il candidato del centro-destra al pubblico ludibrio. Dall'altra parte un candidato della società civile, un manager come Marco Bucci, che ricorda il primo Silvio Berlusconi, dal profilo moderato e che scommette tutta la sua posta sulla «politica del fare».

È finita come tre decadi fa. Ma anche se avesse vinto Orlando per onestà intellettuale tutti dovrebbero ammettere che in un mese il centro-destra ha ribaltato la prospettiva di una sconfitta sicura (più o meno come nel '94 sfumò una vittoria che Occhetto pensava di avere in tasca) e già solo questo dimostra la fragilità e l'incompiutezza della strategia della sinistra. Se poi si coniuga la sconfitta di Orlando con il tonfo grillino emerge con clamore l'errore madornale commesso da chi ha accettato dentro il Pd i diktat di Giuseppe Conte.

Una sconfitta per il presente e un monito per il futuro perché la vicenda ligure è di fatto la proiezione in piccolo degli equilibri a livello nazionale: il campo largo per essere competitivo, per poter aspirare a vincere, deve mettere insieme - basta leggere i dati dell'ultimo sondaggio «you trend» - tutte le sue anime compresa Italia Viva. E la ragione - come ho scritto e riscritto negli ultimi due mesi prevedendo la vittoria del centro-destra - non riguarda tanto il numero di voti che può portare Renzi, non è importante quel 2-3% che ha in dote, ma la funzione che può svolgere come ultima propaggine di una forza riformista collocata nell'area centrale della geografia politica di questo Paese. Più il campo largo con Schlein, Fratoianni, Bonelli e Conte ha il suo asse spostato a sinistra e più ha bisogno di una copertura convincente, magari anche provocatoria per le altre forze dello schieramento, che la copra sul lato dell'area moderata. Una funzione che non può essere svolta dal solo «ectoplasma» Calenda, ma che ha bisogno di una presenza ben più pesante magari ingombrante. Per fare un esempio: non puoi vincere in Liguria dove la maggior parte degli abitanti sono proprietari di casa dando troppa visibilità nel tuo schieramento al partito che ha eletto a Strasburgo la profeta delle occupazioni, Ilaria Salis, se non c'è anche qualcuno nel tuo campo che per storia e programma è perentoriamente contrario a ipotesi del genere. Che è una garanzia per quei moderati, pochi o tanti che siano, che guardano allo schieramento progressista.

Il problema non è il Pd partito dello Ztl, oppure il duello Conte-Grillo. Queste sono puttanate. La questione è che in un sistema bipolare la caccia è all'ultimo voto e normalmente l'ultimo voto è quel pezzo di opinione pubblica che è al centro e che può spostarsi a favore di uno dei due schieramenti determinandone la vittoria. È quel pezzo di elettorato che farà vincere la Harris o Trump, che ha determinato il ritorno dei laburisti in Inghilterra, che ha impedito alla Le Pen di imporsi nelle elezioni politiche in Francia e che in passato in Italia ha premiato Berlusconi o ha permesso al moderato Prodi di battere il Cav per pochi voti.

Per questo parlo di «ebetismo politico» con la presunzione di avere ragione. Dopo trent'anni a sinistra ancora non hanno capito come va il mondo. Credono che gli basti un'inchiesta giudiziaria o un arresto, magari con il Ranucci dei turno che prende il posto di Santoro, per assicurarsi la vittoria.

Un copione scontato al punto da apparire disarmante, che non fa dimenticare ai liguri imbottigliati nel traffico di Genova che quella città da trent'anni non ha un raccordo anulare o una tangenziale che si chiama Gronda per il veto dei grillini. Un altro veto come quello su Renzi. Ma di veti si muore specie a sinistra.

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