I giudici dell'affidabilità di un Paese. Il termometro dello stato di salute di una nazione. In sintesi, l'inappellabile corte che aveva decretato il declino di Silvio Berlusconi. Citavi la troika del rating mondiale - Standard & Poor's, Fitch, Moody's - e già t'inchinavi davanti a tanta autorevolezza. Chiacchiere.
S'era già capito un paio d'anni fa quando la piccola ma agguerrita procura di Trani aveva chiuso le indagini sulle tre agenzie rilevando una serie quasi incredibile di errori, omissioni, balbettii nello svolgimento di un lavoro così delicato. Ora un'altra tegola cade sugli analisti che misurano quel bene impalpabile chiamato affidabilità e distribuiscono pagelle che determinano gli umori del mercato e spostano da una piazza all'altra miliardi di euro. No, le agenzie non sono infallibili e quel che affermano non può essere accettato a scatola chiusa come il dogma dell'Immacolata.
È la Corte dei conti, come anticipa il Financial Times, a farsi avanti e a chiedere, in prima battuta, alle tre big la stratosferica cifra di 234 miliardi. Un tesoro che equivale al valore di molte manovre di correzione dei nostri traballanti conti. Standard's& Poor, Moody's e Fitch misurano proprio la tenuta dei parametri fondamentali, osservano debito e deficit, consigliano investimenti o addii verso mete più sicure.
Danno e tolgono punti e i loro giudizi, attesi con ansia dalle cancellerie di tutti i Paesi, fanno venire il mal di mare ai governanti. Fra il luglio 2011 e il gennaio 2012 le tre agenzie declassarono pesantemente l'Italia, tecnicamente il debito del Belpaese: S&P diede all'Italia il rating «BBB» e in qualche modo quella bocciatura segnò un'epoca e fu letta come la prova del declino del Cavaliere. Dove non erano riusciti i giudici di Milano arrivavano loro, i signori della finanza. In effetti il downgrade, come si dice con linguaggio anglosassone, fu il colpo del ko per il Cavaliere, Berlusconi lasciò infine Palazzo Chigi dove s'insediò Mario Monti, l'economista bocconiano che piaceva proprio alle grisaglie della comunità finanziaria internazionale. Tutti ricordano il clima cupo del 2011: la danza dello spread, condotta proprio dai guru del rating, con i grafici che mostravano valori mai registrati prima: quota 400, quota 500, quota 540. E poi i sorrisetti complici della Merkel e di Sarkozy, lo scetticismo dell'Europa e la drammatica lettera della Bce al nostro esecutivo. Tutto vero.
Ma secondo i magistrati contabili il downgrade fu il risultato di una fotografia sfocata. Si basava su dati incompleti. L'Italia, l'Italia arrivata secondo Monti sull'orlo della bancarotta e a un passo da una deriva di stampo greco, quell'Italia aveva altre risorse. Energie spirituali che non furono conteggiate al momento di togliere un segno più o di aggiungere un segno meno. «Non si è tenuto conto - scrive ora la Corte dei conti - della storia, dell'arte e del paesaggio italiano che, come tutto il mondo sa, sono alla base della nostra forza economica». L'indagine della Procura del Lazio è ancora alle battute iniziali, ma le valutazioni sono dirompenti. Dante, Michelangelo, Raffaello, il Medioevo e il Rinascimento, e poi su su fino alla fantasia inesauribile e ineguagliabile dei nostri creativi, del sistema moda, del design, della nostra insuperabile offerta turistica con corredo di cibi e vini sontuosi. L'Italia, anche l'Italietta traballante, non può essere liquidata impiccandola ai suoi pur indiscutibili limiti. Non si può bocciare l'Italia valutandola solo per il suo debito pubblico a per gli altri numeri che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Nel nostro bagaglio non c'è solo zavorra, ma anche il Colosseo, le Operette morali di Leopardi e la cappella degli Scrovegni, con lo strabiliante ciclo pittorico realizzato da Giotto.
Insomma, la botta poteva e doveva essere più contenuta. Invece lo spread schizzò in alto e l'Italia passò settimane terribili. «Ho sempre pensato - afferma il ministro dell'economia Fabrizio Saccomanni - che il ruolo delle agenzie fosse eccessivo e credo che la nostra azione sia stata quella di chiarire che non ci sono solo le loro pagelle».
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