Ernesto Galli della Loggia è un professore universitario colto e intelligente. Ma questo è ovvio. Altrimenti egli non sarebbe in cattedra, quantomeno nessuno darebbe tanta importanza a ciò che scrive e dice. La sua prosa al servizio del Corriere della Sera è educata e profonda,un po’ curialesca com’è giusto che sia per un pensatore che, volendo dare del cretino a qualcuno, glielo deve dare con garbo, sennò non sarebbe preso sul serio. Ieri, sul giornalone di via Solferino, non ha dato dei cretini ai cortigiani di Silvio Berlusconi, peggio: ha detto di loro che non contano nulla, non hanno mai contato nulla, non conteranno mai nulla. Facevano numero quando Forza Italia, prima, e il Pdl, poi, avevano percentuali importanti. Ora che le cose sono cambiate perché è cambiato il vento, sono soltanto pesi morti.
Il partito personale del Cavaliere ha perso lustro e potenza, ma rimane il partito del fondatore. Senza di lui varrebbe zero. Hanno voglia i peones di darsi da fare per dimostrare il contrario e garantirsi il domani, a prescindere dal capo. Non hanno le carte in regola. Privi di personalità, incapaci di imporsi, psicologicamente sudditi del leader, non riescono non dico a costruirsi un futuro, ma neppure a immaginarlo: sono gregari di Berlusconi. Contro il quale talvolta lanciano un sasso, ma subito nascondono la mano, terrorizzati di essere scoperti. In faccia non gli dicono mai niente che lo possa irritare. Non osano contraddirlo, salvo disubbidirgli non appena usciti dalla sua stanza. Lui dà un ordine, loro subito lo eseguono, però al contrario. Poi si giustificano affermando che non avevano capito bene. Quindi allargano le braccia sconsolati, invocando perdono. Se lo ottengono, ne approfittano per mendicare qualcosa: di solito, una poltrona.
I partiti a guida carismatica sono tutti uguali e tutti fanno la stessa fine: tengono finché tiene il manico; quando questo non regge più, ciascun militante diventa un potenziale ammutinato. La disgregazione comincia così: l’interesse generale passa in secondo piano, prevale il desiderio di ogni individuo di pararsi le terga. I furbi cercano un’intesa col nemico, dal quale pretendono di essere salvati e riciclati; i fessi cercano di trarre qualche vantaggio dal caos: un posto, una carica, un osso da spolpare. Il Pdl, come fu concepito dal Cavaliere, poteva essere un colosso, anzi lo è stato. Infatti nel 2008 vinse le elezioni politiche con largo margine. Il Pd di Walter Veltroni andò a schiantarsi. Ma un anno dopo, il gigante era già un nano, ridimensionato dall’uscita di Gianfranco Fini con i suoi fedelissimi del Fli.
Il seguito è noto. Un lento e progressivo smottamento condusse i berlusconiani al fallimento di un progetto ambizioso: la rivoluzione liberale. Complice anche la crisi economico- finanziaria, il gioco in attacco del Cavaliere si trasformò in gioco difensivo con qualche sortita in contropiede, sempre più timida, velleitaria. La partita si concluse con una sconfitta. I berluscones si sono rivelati inconsistenti. Lo erano anche in precedenza, ma il gruppo compatto sopperiva al deficit dei singoli. Ora che lo squadrone si è ridotto a rappresentativa di vecchie glorie senza gloria, si avverte la sua inadeguatezza. Non riesce neppure a contrastare i dilettanti allo sbaraglio di Mario Monti, ancora convinti che l’Europa e l’euro siano i fari della politica italiana. Non si accorgono che invece sono fuochi fatui, lumini cimiteriali.
La moneta unica e la Ue sono disgrazie, iatture. Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi le vollero a ogni costo e gli italiani, che hanno pagato un prezzo enorme per soddisfare quei capricci infantili, oggi boccheggiano. L’Inghilterra, che ha sputato in faccia all’euro, è in salute, sia pure con qualche acciacco dovuto alla situazione internazionale. E Berlusconi? Lui, che non ha mai creduto alle chimere europee, adesso è qui con un’Armata Brancaleone a recitare la parte di coscienza critica della maggioranza. Però nessuno lo ascolta, neppure i suoi fanti. I quali, quando egli parla, si guardano l’un l’altro, incerti se dargli retta o no. Nel dubbio, si astengono dal fare qualsiasi cosa. Traccheggiano. Chi scuote la testa, chi sorride, chi sacramenta sottovoce per non farsi udire.Già.L’ex premier incute ancora timore, ma non ispira più fiducia.
Il Cavaliere non è stupido. In certi momenti ha consapevolezza dei propri errori; il principale è quello di essersi contornato di gente mediocre dall’inchino facile ( salvo alcune eccezioni) ma inabile ad altre attività, oppure dotata di tette eccellenti ma di meningi deboli. Troppo tardi per pentirsi, troppo presto per rimediare. E allora? Silvio alterna attimi di malumore ad attimi in cui medita di buttare all’aria il partito e di crearne un altro, nuovo, bello giovane, forte. Perché non lo crea? Non ha il coraggio di scaricare le cariatidi.
Il suo limite è che non sa gettare a mare chi non serve, cosicché la sua barca è piena di zavorra e rischia di affondare. Un leader carismatico che preferisce dire ni piuttosto che no, a lungo andare viene rifiutato dagli elettori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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