Garlasco, dopo sette anni si ricomincia tutto da zero

Alberto Stasi: "Mi sento in un tritacarne". I legali della vittima chiedono nuove perizie

Garlasco, dopo sette anni si ricomincia tutto da zero

Sette anni per tornare al punto di partenza. Al 13 agosto 2007, alla morte di Chiara Poggi, alle investigazioni affannose degli inquirenti, ai dubbi e alle domande suscitate dal comportamento di Alberto Stasi. Sette anni sono passati invano e ora si retrocede alle macchie di sangue, ai gradini che portano alla tavernetta dei Poggi, alla bicicletta vista dalla signora Franca Bermani, la vicina di casa, nelle ore cruciali del delitto. Comincia il processo d'appello bis, il quarto di una serie troppo lunga, e ricomincia l'estenuante ping pong su prove, indizi, mozziconi di prove e suggestioni, errori e omissioni. Uno strazio nella notte troppo lunga della giustizia italiana. Gianluigi Tizzoni, il caparbio legale di parte civile, ripropone per l'ennesima volta i quesiti di sempre: di chi è il capello trovato nella mano sinistra di Chiara? E poi l'avvocato dei Poggi chiede l'acquisizione della bicicletta più citata nella storia giudiziaria italiana, al centro di un pasticcio nel pasticcio generale, e ancora vorrebbe una perizia sull'altrettanto celeberrima camminata di Stasi all'interno della villetta di Garlasco. Per Tizzoni non ci sono dubbi: quando aprì la porta e scese lungo la scala, fermandosi dopo due gradini, il fidanzato di Chiara avrebbe dovuto sporcarsi e uscire da quel mattatoio con le scarpe imbrattate di sangue.

Sembra impossibile ma tre processi, ore e ore di perizie e consulenze, udienze su udienze non hanno portato ad una verità condivisa, ma hanno finito col trasformare tutta questa storia in un pantano in cui si rischia di affondare ad ogni passo. Così si prova pena ad ascoltare la mamma di Chiara, Rita Poggi, che entra in aula e aggrappandosi al coraggio figlio della disperazione, afferma: «È sempre un'emozione tornare in tribunale. Ho speranza e fiducia nella giustizia per Chiara». Ma si resta turbati anche davanti alle parole di Fabio Giarda, uno dei difensori di Stasi: «L'umore di Alberto è quello di una persona che si ritrova in questo tritacarne». Attenzione: parliamo di un giovane sotto i riflettori del sospetto dal 13 agosto 2007, fermato e poi scarcerato di corsa perché gli elementi contro di lui non stavano in piedi, e poi ancora assolto in primo grado e riassolto in appello, infine riportato a forza sul banco degli imputati dalla Cassazione che ha demolito i due verdetti precedenti. Un guazzabuglio.

Sette anni dopo, Stasi è ancora lì, in corte d'assise, a prendere appunti, a pochi metri dal dolore senza fine di una famiglia che non ha ancora ottenuto giustizia, non ha avuto pace, non ha nulla di nulla. Sette anni dopo, la procura di Vigevano non c'è più, causa spending review, e se n'andato anche il papà di Stasi, consumato dalla troppa angoscia. Per il resto ci si accapiglia ancora sui dettagli. La procura generale va a braccetto con la parte civile, la difesa fa muro e dice basta: «Abbiamo già esaminato tutto l'esaminabile». E invece no: Laura Barbaini, rappresentante dell'accusa, vorrebbe riguardare i computer di Alberto e Chiara e approfondire la camminata di Stasi sulla scena del delitto. Quei due gradini potrebbero fare la differenza. I dettagli, si sa, sono tutto. E la Barbaini sottolinea anche l'importanza della bicicletta: una bici nera, da donna. Il maresciallo Francesco Marchetto spiegò di non averla sequestrata perché non corrispondeva alla descrizione data dalla signora Franca Bermani. A fine 2012 però Marchetto cambia versione: in un'intervista alla Provincia Pavese chiarisce di non averla recuperata perché era la Bermani ad essere inattendibile. La Bermani dà un'altra versione, la numero tre: «Io non ho mai parlato con Marchetto di questo argomento». E allora la famiglia Poggi denuncia il maresciallo, oggi in pensione, per falsa testimonianza: l'esposto è sulla strada dell'archiviazione, ma i dubbi, colossali, restano.

Chi scrive, versione numero n, ascoltò a sua volta la Bermani nei giorni successivi e la signora fu categorica: «La bici era appoggiata al cancello di casa Poggi alle nove e dieci del mattino». Chi scrive si è sempre chiesto perché la bici non sia stata prelevata. Mistero. Si prosegue mercoledì prossimo. Po la corte deciderà: il processo viaggia verso la riapertura.

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