L'inno? Fa il suo mestiere. Non è che deve andare a Sanremo o strappare una recensione su «Rolling Stone».
L’importante è che sia orecchiabile, con tante bandiere, frasi brevi e un messaggio chiaro. Quando oggi a Milano, al congresso del Pdl, partiranno le note di «Gente della libertà» tutti si alzeranno in piedi, con la mano sul cuore, qualcuno più stonato dell’altro e magari qualcuno piangerà.
Perfetto. Gli inni servono a questo. Li ascolti e ti riconosci.
Si chiama identità. Solo che di solito gli inni non si cambiano.
Appunto per questo, per la storia dell’identità. Non è che uno quasi vent’anni dopo si accorge che quella vecchia canzone non è più di moda. Gli inni sono come il vino, quando invecchiano migliorano. Non si giocano il destino sulla hit parade. Stanno lì, come una bandiera, col sole, con la pioggia, se tira la tramontana o va di bonaccia. Fermi, praticamente eterni.
Non si offendano allora gli ex An, ma quando uno pensa alla destra di Berlusconi, alla colonna sonora di questi anni, all’identità di quel partito nato su un predellino e chiamato Pdl, il primo accordo che arriva all’orecchio è sempre quello: «E Forza Italia...». Non c’è nulla da fare. È l’unico motivo riconoscibile. Anche perché l’inno di An è un pezzo da collezione, tipo il Gronchi rosa per i filatelici. L’altro, invece, quello di «Forza Italia per essere liberi», si ritrovavano a fischiettarlo a tradimento perfino D’Alema o Di Pietro.
Diranno: ma quello è l’inno di Forza Italia. Il Pdl è oltre, è un’altra cosa. È la grande casa dei moderati. Vero.
Eppure l’identità, quella forte, continua a girare intorno a quelle note: «E siamo tantissimi». Buona fortuna allora a «Gente della libertà», ma il dubbio resta. Gli inni sono come le squadre di calcio. Non si cambiano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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