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Un giudice intrappola i marò Il governo alza la voce ma è tardi

L’inviato di Monti discute col direttore della prigione per ottenere una detenzione alternativa. Attesi entro oggi i risultati della cruciale perizia balistica sulle armi usate dagli italiani

Un giudice intrappola i marò Il governo alza la voce ma è tardi

La svolta più temuta e fin qui quasi esorcizzata nella vicenda dei due marò italiani agli arresti in India si è materializzata ieri: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati trasferiti in carcere. I militari accusati di aver sparato lo scorso 15 febbraio da bordo della petroliera «Enrica Lexie» uccidendo due pescatori indiani erano sotto la custodia della polizia indiana da due settimane, ma ieri il giudice distrettuale della città di Kollam, dove erano trattenuti, ha disposto il loro trasferimento immediato nella prigione centrale della città di Trivandrum, capitale dello Stato di Kerala, dove resteranno sotto fermo giudiziario per 14 giorni.
Uno schiaffo evidente alle speranze italiane che la vicenda evolva nella direzione desiderata, quella della rapida riconsegna di Latorre e Girone alle nostre autorità in vista di un giudizio in patria, come prescrive il diritto internazionale. Schiaffo che arriva proprio mentre mancano poche ore alla conclusione della cruciale perizia balistica sulle armi in dotazione ai due fucilieri di marina, e che dovrebbe determinare se queste possano effettivamente essere state usate nel caso dei pescatori uccisi nell’oceano Indiano.

Il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, che si trova in India per seguire direttamente la delicata vicenda e offrire ai nostri militari il sostegno del governo, vede la sua missione complicarsi ulteriormente. Il governo italiano ha infatti definito inaccettabili le misure di carcerazione decise per Latorre e Girone, in virtù del fatto che si tratta di militari italiani oltre che di una questione di estrema sensibilità per le autorità e per l’opinione pubblica del nostro Paese.

Ieri, dopo essersi detto comunque soddisfatto della presenza alla perizia di due esperti dei Ros inviati dall’Italia (sia pure solo in qualità di «osservatori silenziosi», cioè senza il diritto di interloquire su quanto viene detto e stabilito in quella sede), De Mistura si è dovuto dividere tra due compiti. Il primo a New Delhi, dove continua il delicato dialogo con le autorità indiane, il secondo non più a Kollam ma a Trivandrum, dove deve affrontare il capitolo della carcerazione materiale di Latorre e Girone.

Ancora ieri sera la questione non era ben definita, con De Mistura e i due marò in attesa nell’anticamera del direttore del carcere: il sottosegretario insisteva per un pronto reperimento per i nostri militari di strutture e di condizioni di permanenza idonee al loro status, mentre le autorità indiane obiettano che le loro leggi non prevedono trattamenti di favore. Per ora, in base alle decisioni prese ieri dalla Corte di Kollam, ai due marò spetta il diritto di non essere alloggiati con gli altri detenuti, di ricevere assistenza medica, di ricevere ogni giorno per la durata di un’ora visitatori italiani e di vedersi fornire cibo italiano. Ma la questione principale al momento, cioè quella di provvedere a una sistemazione al di fuori dell’edificio del carcere, non era stata definita: De Mistura ha comunque dichiarato che rifiuterà di lasciare Latorre e Girone finché questo nodo non sarà stato sciolto.

Ma proprio l’aspetto del trattamento riservato ai militari italiani sembra rivestire un ruolo primario in questa fase della vicenda. Il problema è di natura politica: nel Kerala la morte dei due pescatori è stata strumentalizzata dall’opposizione di sinistra, che accusa il partito del Congresso al potere in quello stato di non usare abbastanza durezza con «gli assassini italiani», insinuando che le origini italiane del suo leader nazionale Sonia Gandhi spiegherebbero «il trattamento da ospiti in un albergo a cinque stelle» riservato a Latorre e Girone. In un infuocato dibattito svoltosi nel Parlamento regionale, il premier Oommen Chandy ha ribattuto ai suoi tumultuanti avversari politici che «non vi sarà indulgenza» per i due marò, e questi toni sono fin troppo chiari per comprendere in che razza di trappola siano venuti a cadere i due militari del «San Marco». È infatti evidente che il partito della Gandhi si trova nella difficile situazione di non voler passare per troppo garantista verso i presunti responsabili stranieri della morte di due cittadini indiani.

E così, per una miserabile bega politica interna di una provincia indiana, i nostri marò rischiano di pagare un prezzo non dovuto.

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