Le grandi firme dell'arte salvano i vetri di Murano

Le grandi firme dell'arte salvano i vetri di Murano

Il suo museo, più che un luogo d'arte, può far pensare alla fucina di Vulcano dove i ciclopi forgiavano le armi degli dei. E del resto il Berengo Center di Murano, antica fornace con i mattoni a vista e le pareti annerite dalla fuligine dei crogiuoli, è un tutt'uno con la collezione di stupefacenti sculture in vetro che paiono lontane anni luce dal folclore che imprigiona nel bene e nel male quest'isola della Laguna. Già perché che cosa può avere in comune un abito femminile dal corpetto di vetro trasparente e la gonna ricoperta di cocci con la tradizionale oggettistica che ancora attira su queste sponde migliaia di turisti e che va dal lampadario colorato al calice intarsiato al souvenir da tinello? «Niente o tutto» dice sorridendo Adriano Berengo, veneziano che ha girato il mondo, e che più di vent'anni fa ha fondato il primo museo di arte contemporanea del vetro al mondo. «Niente, perché a Murano ho voluto creare qualcosa di unico che possa dare una nuova immagine a una tradizione ormai in declino come l'economia di un'isola dove i grandi maestri vetrai sono ormai mosche bianche (e tanta merce in vendita viene prodotta in realtà in Cina o a Napoli). Tutto, perché in fondo io ho deciso di raccogliere una grande eredità, quella di Egidio Costantini che negli anni Cinquanta inventò la “Fucina degli angeli”, coinvolgendo la collezionista americana Peggy Guggenheim in un'impresa affascinante: quella di invitare i grandi maestri dell'arte moderna a creare opere con questo materiale povero e prezioso».
L'idea gli era scattata negli anni in cui aveva iniziato a lavorare nel commercio a Murano dopo un lungo periodo newyorkese in cui aveva conseguito una laurea e una docenza in letteratura. «Intuii che si poteva tornare a nobilitare il vetro sdoganandolo da quella etichetta artigianale che lo aveva sempre relegato ai margini delle arti maggiori». Era la fine degli anni Ottanta. Oggi Adriano Berengo, con il suo museo e il progetto di mostre internazionali intitolato Glasstress (l'ultima si è appena conclusa a Londra), è di fatto l'ambasciatore del nuovo volto di Murano nel mondo moderno.
Alle sue mostre, una delle quali è stata l'evento collaterale più importante alla Biennale di Venezia, partecipano i massimi artisti contemporanei del panorama internazionale. Solo per fare qualche nome: Thomas Shutte, Tony Cragg, Jan Fabre, Mat Collishaw, Joseph Kosuth, il duo Kabakov. Berengo iniziò ad invitarli a Murano affiancandoli ai maestri vetrai con cui hanno realizzato opere del valore di centinaia di migliaia di euro. Parte delle sculture finiscono nella collezione del Berengo Center e delle mostre che da Venezia (ora a Palazzo Cavalli Franchetti e alla Scuola Grande Confraternita di San Teodoro) girano il mondo. Gli altri esemplari della produzione restano invece di proprietà degli autori e delle loro major. «All'inizio non è stato facile convincere grandi artisti internazionali a confrontarsi con un materiale, nuovo, difficile e ingiustamente un po' snobbato - dice Berengo - senza contare che erano giocoforza costretti ad affidarsi con i loro progetti agli artigiani della fornace». Richieste non sempre esaudibili, anche se l'abilità dei vetrai ha permesso di realizzare opere prima d'ora impensabili su quest'isola.

Qualche esempio? L'amaca impossibile intrecciata di sottili fili di cristallo di Loris Cecchini; o ancora, il grande pesce interamente ricoperto da centinaia di squame di vetro dell'artista polacca Marta Klonowska, oppure la scultura «prototipo» dello slovacco Tomas Libertiny, un uomo di vetro interamente ricoperto dalla cera costruita direttamente... dalle api.

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