Non conosco a fondo - e nemmeno in superficie - le vicende finanziarie dalle quali è derivata l'inchiesta giudiziaria su Mediaset. Conosco invece abbastanza il mondo per esprimere il mio parere sugli altri processi da Silvio Berlusconi subiti. «Caso Ruby». È secondo me assurdo che immani quantità di denaro pubblico siano state e siano spese - o piuttosto sprecate - per accertare verità (...)
(...) pruriginose del tutto prive di contenuti illegali. Non occorre molto alla magistratura per vedere, se vuole, il reato nel peccato. Ricordo le domande severe e sferzanti al povero Fausto Coppi portato in un'aula di Tribunale per abbandono del tetto coniugale. Sono propenso a non stupirmi più di nulla, ammetto che le cene di Arcore non fossero quelle riunioni salottiere ed eleganti di cui si favoleggia. Ma l'idea d'un Berlusconi che incita alla prostituzione può albergare solo in menti fanatiche.
Allo stesso ambito logico appartiene la condanna del Cavaliere a un anno di carcere - addirittura due anni e tre mesi al fratello Paolo - per avere reso pubblica una conversazione intercettata tra Piero Fassino e il numero uno di Unipol Consorte nella quale l'allora segretario Ds rivolgeva all'interlocutore una frase esultante: «Allora, abbiamo una banca?». Del contenuto di questa telefonata Berlusconi fu informato la vigilia di Natale del 2005. Alcuni giorni dopo il Giornale, al tempo diretto da Maurizio Belpietro, pubblicò il testo della telefonata. Mettendo così in azione - secondo una lunga argomentazione di Massimo Giannini su Repubblica la «macchina del fango e del ricatto» in danno della sinistra. I fratelli Berlusconi hanno la colpa gravissima d'avere rivelato preziosi segreti d'ufficio: infrangendo quel solido scudo di riservatezza che nelle procure, come tutti sappiamo, impedisce gli spifferi di informazioni o illazioni o pettegolezzi. Nulla trapela. Proprio le traversie legali di Berlusconi sono lì a dimostrarlo, nessuna insistenza di Ilda Boccassini e dei suoi colleghi nel mettere a nudo circostanze riservate della vita privata d'un noto fornicatore. Nessun segreto d'ufficio in quell'accavallarsi di pettegolezzi? Animati, gli inquirenti, solo dal desiderio di portare allo scoperto torbidi e inconfessabili segreti? Intendiamoci, io non voglio negare che la voce fuggita dal seno di Fassino abbia fatto comodo al Pdl. Mi par di ricordare che anche alcune gaffes berlusconiane - seppure, politicamente, di minore sostanza - siano state con insistenza utilizzate dagli avversari. Un infortunio del centrodestra analogo all'«abbiamo una banca» avrebbe giustamente avuto, sulla pubblicistica antiberlusconiana, un risalto enorme.
Il Giornale, che alla notizia ha dato forte risalto, è come ognuno sa di proprietà berlusconiana. Dunque non imparziale. Ma lo scoop apparteneva o no alle regole del giornalismo? Sicuramente sì. Se era normale esercizio del diritto di cronaca la notizia sul Corriere dell'avviso di garanzia a Berlusconi, a quello stesso diritto apparteneva il «allora, abbiamo una banca?». Quando per alcune iniziative della magistratura il centrodestra ha parlato di accanimento lo si è irriso sdegnosamente, lamenti vacui di chi ha troppe cose da nascondere. Ma quando la stessa licenza di rivelare se la prende il Giornale intervengono le toghe per lo sfregio inenarrabile fatto alla legge e infliggono ai Berlusconi una pena dura. Perfino Marco Travaglio ha dovuto, in Otto e mezzo di Lilli Gruber, ammettere che se la faccenda Fassino fosse capitata in mano a lui, l'avrebbe resa nota senza esitare un istante. Ma i magistrati la sanno lunga, e così Fassino aveva una banca, Silvio Berlusconi ha una condanna.
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di Mario Cervi
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